1984 Gennaio 14 Fulvio Bernardini

1984 Gennaio 14 – Fu il Falcao degli anni ’30 e il padrino di Bearzot Ct

L’ultima volta lo avevo visto allo stadio Olimpico di Roma intabarrato, l’ala bassa del cappello, la sciarpa che
gli avvolgeva mezza faccia: tanto, una paresi gli aveva portato via la voce. L’ho abbracciato, perché lo
stimavo come personaggio probo e capace, e quel silenzio fisico mi è da allora rimasto addosso. Lessi nei
suoi occhi un monumento d’uomo, il tempo della vita come un fiume che viene di lontano e che si trascina
dietro una energia placata.
Fulvio Bernardini non conosceva l’immobilità dei ricordi; il passato era in lui un’ispirazione o, meglio, uno
strumento per capire meglio il presente. Quando lo incontravo, fin dagli anni ’60 a Bologna mi dimenticavo
dell’intervista perché mi pareva molto più utile lasciarmi prendere dal racconto. Aveva il gusto
dell’aneddoto come Nereo Rocco: il suo calcio non era una storia né tantomeno una summa: era nelle
storie, nelle parabole di spogliatoio, in giocatori sudati, in geometrie mai astratte perché sempre
personalizzate. E de’ Roma.
Era un uomo pieno di gusto, modernissimo, che tenne fede allo spettacolo prima dell’avvento del calcio-
spettacolo. Pur avendo vinto lo scudetto 1964 schierando nello spareggio Bologna-Inter il terzino Capra
all’ala, si riconobbe per istinto nel gioco arioso e d’iniziativa, il suo, nei piedi cosidetti “buoni”, nei giocatori
muniti d’ogni fondamentale.
Fu tutto nel calcio, CT, Giornalista e , soprattutto, figura trasparente. E’ come se il calcio avesse perso con
lui un testimone a discarico.

E’ morto Fulvio Bernardini. Dopo una lunga malattia l’ex giocatore e allenatore della Nazionale di calcio è
deceduto ieri in un ospedale romano.
Bernardini era nato a Roma il 29 Dicembre 1905, ma la sua nascita venne registrata all’anagrafe soltanto
tre giorni dopo perché nella sua famiglia piccolo-borghese si pensava di fargli “guadagnare” un anno nei
confronti del servizio militare. Alla prova dei fatti fu un espediente che favorì Bernardini nella carriera di
calciatore, anche se il “profeta”, il “duca della gamba d’ora”-come era stato nominato dai romanisti di
campo Testaccio-non aveva certo bisogno di essere favorito.
Nel 1925 Fulvio Bernardini indossava la prima maglia azzurra, primo esponente del centro-sud ad essere
convocato in Nazionale. Sei anni dopo, il 13 Dicembre 1931, Vittorio Pozzo mise fine alla sua carriera in
azzurro con una incredibile motivazione. A Torino, alla vigilia di Italia-Ungheria, il c.t. chiamò Bernardini e gli
disse “Vede lei gioca attualmente in modo superiore, direi perfetto; ciò porta gli altri a trovarsi in
soggezione. Dovrei quasi chiederle di giocare meno bene. Mi dica, lei sa come si regolerebbe al mio
posto?”. Bernardini se ne andò in tribuna senza dire una parola, dopo 26 presenza.
Sempre in silenzio Fulvio Bernardini, 46 anni dopo quel pomeriggio di Torino, accettò un altro compito dalla
nazionale. Dopo la disfatta italiana ai mondiali di Monaco 1972 aveva preso il posto di Ferruccio Valcareggi
quale commissario tecnico. Erano “anni bui”, ma fu proprio Fulvio Bernardini a gettare le basi della squadra
che sarebbe stata quarta in Argentina nel 1978 e campione del mondo in Spagna nel 1982. Nella ricerca dei
“piedi buoni” -primo comandamento del suo catechismo calcistico- portò infatti nel giro azzurro Antognoni,
Tardelli, Scirea, Bettega, Graziani, Gentile, Zaccarelli…
Ma in fondo i tre anni sulla panchina della nazionale (di cui quasi uno, dal settembre 1974 al giugno 1975,
come c.t. ed il resto, fino all’8 giugno 1977, come direttore generale con a fianco il commissario tecnico
Enzo Bearzot) solo stati solo una piccola parentesi nella vita calcistica di Fulvio Bernardini.
Una delle sue maggiori glorie di allenatore, fu infatti l’importazione in Italia del “sistema”, il modulo
calcistico “inventato” in Inghilterra in sostituzione del “metodo”. Nel 1939 Bernardini era giocatore-
allenatore della “Mater”- una piccola squadra aziendale romana-quando assistette a Milano al famoso
Italia-Inghilterra finito 2-2 con un gol segnato da Piola con il pugno.
In quella partita Bernardini si accorse che gli inglesi schieravano tre terzini in linea, due mediani centrali e
due mezzali per il “quadrilatero” di centrocampo e tre punte. Entusiasmato dalla novità Bernardini tornò

nel cuore della notte a Bologna dove la “Mater” era in ritiro, svegliò la squadra e disse;: “Signori, da domani
giochiamo così” Era nato anche in Italia il “sistema”
Da giocatore Bernardi ni fu semplicemente un fenomeno. Tutto mancino ( come la maggior parte dei grandi
campioni) era dotato di eccezionale senso di posizione. Ma lui stesso amava ricordare che il suo senso
tattico derivava dalle partite giocate nel posto d’osservazione ideale per scoprire le magagne di una
squadra. Ovvero in porta. Bernardini cominciò infatti la carriera come portiere nell’Esquilia.
In questo ruolo venne acquistato nell’estate del 1925 dall’Ambrosiana Inter. Tuttavia il ruolo che più gli si
congegnava era quello di centrosostegno: fu il primo vero uomo-squadra, un vero e proprio Falcao degli
anni ’30. E Bernardini realizzò il suo sogno dopo una discussione con l’allenatore Weizs e grazie alla
“scoperta” di un centravanti come Giuseppe Meazza. Diventato contromediano Bernardini tornò a Roma
dove nel frattempo dalla fusione di tre squadre era nata la Roma. Della Roma di testaccio Fulvio Bernardini
fu il vero e proprio”mattatore”. E mentre si laureava in scienze politiche, si guadagnava sul campo i
soprannomi di “Garibaldi”, “profeta”, “Duca dalla gamba d’oro”. Quest’ultimo risaliva alla volta in cui in un
derby con la Lazio mandò per terra tre avversari con una finta..L a sua carriera rischiò di finire anzitempo
quando venne convocato a Palazzo Venezia da Benito Mussolini che aveva sorpassato in modo spericolato
in macchina in via Quattro Novembre a Roma. Fu utile l’intervento di Monzelio, amico della famiglia
Mussolini, per evitare fastidiosi strascichi: Bernardini si era visto arrivare la polizia in casa.
La sua carriera di calciatore comunque finì prima della seconda guerra mondiale. Nel 1946 Bernardini fu
commissario straordinario della Federcalcio, ma nel dopoguerra la sua attività principale fu quella di
“mister”: allenò la Lazio, la Sampdoria e ,dal 1951 al 1952 in B con Berto Menti vice, anche il Vicenza: un
”mister” capace di grandi imprese e di vere e proprie professioni d’amore per il calcio.
Se infatti Bernardini riuscì a vincere due scudetti, con la Fiorentina nel ’55-‘56 e con il Bologna nel ’63-’64
seppe anche trovare il coraggio di non abbandonare al suo destino la Reggina in gravi difficoltà finanziarie.
La società calabrese era sull’orlo del fallimento e Bernardini l’aiutò mantenendo di tasca propria i 20
ragazzini che gli erano stati affidati. La Reggina recentemente aveva premiato Bernardini per ringraziarlo,
un grazie che invece non ebbe mai dalla Federcalcio, neanche quando fu il principe ispiratore della
nazionale “argentina”. Il precettore, il padrino di Bearzot c.t. fu lui.