1984 Aprile 16 Scudetto juventino

1984 Aprile 16 – Scudetto Juventino

Partitissima è un diminutivo! Di superlativo ieri c’è stato soltanto l’incasso, un miliardo e 163 milioni;
per il resto nessuno si è accorto dello spettacolo che tutta Italia andava attendendosi da almeno una
settimana. Nella prima domenica di autentica primavera, con quasi venticinque gradi di temperatura,
Juve e Roma hanno azzerato il conto.
La Roma ha fatto i soldi, la Juve lo scudetto 1984, ma nessuna delle due è stata veramente all’altezza
della situazione. La Roma ha tentato di vincere a due all’ora; la Juve non ha pensato ad altro che al
pareggio, riuscendo ad ottenerlo con un gioco di ostruzione che sembrava suggerito da Enrico
Berlinguer tanto era efficiente.
Le grandi partite (sulla carta) spesso diventano piccole (in campo). Non è una novità, né tecnica né
psicologica. Purtuttavia era lecito attendersi qualcosa di più, soprattutto dalla Roma che invece non
ha mai saputo accendere il match. Se la Roma voleva riconsegnare lo scudetto alla Juve sulle note di
una dolcissima nenia, allora bisogna dire che c’è pienamente riuscita. Su questo non ci sono dubbi,
dato che l’unico vero tonfo al cuore l’ha provocato Roberto Pruzzo volteggiando in piena traversa un
destro acrobatico e spettacolare, che il portiere della Juve non avrebbe potuto prendere nemmeno con
le molle sotto i piedi. Era la mezzora e il botto interrompeva l’incombente pennichella.
C’è sproporzione tra qualità della partita e significato dello zero a zero. Quelli della Juve l’hanno
preso come un trionfo e quelli della Roma come una resa: un risultato di reciproca impotenza. La
Juve ha avuto gli spazi per colpire in contropiede, non riuscendo a dar peso all’ultimo affondo. La
Roma gli spazi non li ha trovati quasi mai e non ce l’ha fatta a concludere con le sue fionde mancine,
da Conti a Maldera a Nela. Nemmeno Falcao e Cerezo hanno trovato l’istante per frantumare dai
16/20 metri la casamatta della Juve.
Che non fosse proprio giornata lo ha ampiamente dimostrato la Roma, con momenti di isteria persino
patetica. Basti pensare che, nelle ultimissime fasi di gioco, Falcao ha recidivamente rifiutato la stretta
di mano a Boniek, il quale avrà tanti difetti, ma non quello di essere sleale. E le proteste poi! Continue
, petulanti, di Graziani, Pruzzo e Conti, ma per cose da niente, roba da asilo infantile.
Alla fine, non essendoci nulla da recuperare e avendo i giocatori dimostrato a josa che erano capaci
soltanto dello zero a zero, l’arbitro Casarin ha guardato orologio e segnalinee decidendo di porre
termine allo strazio. Non l’avesse mai fatto! Conti, campione del mondo, l’ha inseguito a centrocampo
protestando per la puntualità, e l’ha fatto con tanto sdegno, che Paolo Rossi ha pensato bene di
mettersi in mezzo a fare in qualche modo da paciere. Uscendo poi dal campo, lo stesso Boniek, non
ha trovato di meglio che applaudire a braccia ben sollevate in aria il pubblico, i cui fischi e un paio
di mandarini in campo provavano il dispetto per aver buttato più di un miliardo.
Che si giochi malissimo, passi; che ci si comporti peggio, è penoso. Questi “divini” viziati avranno
lo stress, i premi, le ambizioni, i rancori, tutto quello che volete, ma mica potranno continuare tutta
la vita a prendere uno stadio da 80 mila per luogo di sceneggiata. A mente fredda, sono convinto che
gli stessi giocatori saranno d’accordo con me.
Che cosa si volesse dall’arbitro, francamente non s’è capito. Paolo Casarin non è in forma; nessun
arbitro italiano lo è in questi tempi, sicchè la constatazione fa supporre che l’orgia di sospetti stia
schiacciando l’intera categoria, che non è più capace di andare in campo serena a vedere football e di
ripristinare di volta in volta la sua regolarità.
Secondo me, ieri Casarin ha avuto sulla coscienza un rigore non concesso alla Juve e la mancata
ammonizione, a titolo precauzionale, di almeno un protestante. Il rigore, di Nappi su Paolo Rossi, c’è
stato al 30’ spaccato, pochi secondi dopo la traversa di Pruzzo.
Mentre Rossi stava per toccare in gol a ridosso del portiere, Nappi gli ha trepestato addosso, un po’
di piede, un po’ tirando per la maglia. Il fatto è che Casarin si trovava quasi a centrocampo, a non
meno di 50 metri di distanza: francamente da quella posizione ha fatto bene a non concedere il rigore,

ma lì non si sarebbe dovuto trovare mai. Un amico francese, inviato di un quotidiano parigino,
scuoteva la testa scandalizzato, sostenendo che oramai gli arbitri italiani, bravi o mediocri che siano,
hanno preso l’abitudine di arbitrare da metà campo.
Fatta eccezione per il mancato piazzamento sul raid di Rossi, Casarin ha amministrato la partita con
abilità, sbagliando molto meno dei giocatori. In assoluto, nemmeno la sua è stata una partita
entusiasmante; nel relativo dei valori in campo, se l’è cavata ampiamente bene. E allora, perché tanti
nervi a fior di pelle, soprattutto dalla parte del Tevere? Mi viene il sospetto che il presidente Viola, a
forza di parlare di arbitri e di relativo “palazzo” con toni di una sibilla cumana vaticinante allusioni
ed enigmi, abbia finito per il confondere qualche suo giocatore, compreso Falcao, che pure nella
compagnia ha l’aria dell’intellettuale.
Andando avanti di questo passo, le partite giocate saranno sempre più tre: la prima nel retrobottega,
la seconda in campo, la terza alla moviola. Delle tre, la seconda rischia di essere la meno importante.
Paradossi a parte, le possibilità di vincere si sono contate ieri sulle dita di una sola mano. Nel primo
tempo Prandelli e Rossi per la Juve, Pruzzo per la Roma; nella ripresa ancora Pruzzo (di testa all’80’)
e infine…Caricola, che all’87’ è stato capace di dirigere non si sa dove un pallone indegno del suo
piede.
La Roma ha giocato un po’ di più, la Juve ha fatto “back pedalling”, che se tocca la stessa cosa a una
squadra di provincia, ti danno del “poareto” per un’intera stagione. L’amico Vladimiro Caminiti
sostiene che Trapattoni è stato un autentico Napoleone della tattica: oddio, Bonaparte era un tipo un
po’ più intraprendente e aggressivo del buon Trap, che ieri ho visto meglio come impresario della
linea Maginot. Però è vero che , in termini di scudetto, almeno la Juve ha ottenuto quanto voleva: un
punto.
E lo ha fatto con Tardelli, Prandelli e Brio, non con Rossi, Boniek o Michel Platini, quest’ultimo
uscito in anticipo sfatto, con uno strano , persistente dolore al costato, che lo obbligherà oggi a esami
radiografici. Un’altra caratteristica della pseudo-partitissima è stata infatti il prevalere dei gregari sui
prim’attori.
Ciò nella Juve e soprattutto nella Roma, dove il rientro di Falcao, frettolosamente restaurato al
ginocchio, non ha acceso la luce e dove gli stessi Cerezo e Conti non sono andati oltre una opaca
diligenza di tocco. Ci vuole altro per metter sotto la Juve che, quando gioca a briscola, ritiene che
perdere sia nella vita il peggiore dei mali.
E’ stata una partita scorticata, di indugi, a volte lagnosa, che ha fatto riposare glia assi e correre i
peones. Mantenendo tre punti di differenza in classifica a sole quattro partite dalla fine, ha
praticamente chiarito che lo scudetto giallorosso ritorna bianconero. Peccato che attorno all’evento
non ci siano state emozioni e qualità, dando quindi al pomeriggio un tono burocratico.
C’è un’altra conseguenza dello zero a zero, che alla Juve resteranno da giocare campionato e Coppa,
sia pure dei Campioni. Mentre uscivo dall’Olimpico, ho visto un ragazzo stringersi la sciarpa
giallorossa al collo fin a farla sembrare un cappio: ieri la Roma si è proprio arresa.
Tre giorni dopo il “Giubileo degli sportivi”, la gente è uscita triste dallo stadio. La festa era finita
giovedì sera, ma in molti avevano sperato in un bis profano.