1983 novembre 8 La Marca resta Gioiosa e i ragazzi scoprono Tamara

1983 novembre 8 – La Marca resta Gioiosa e i ragazzi scoprono Tamara

Lei aveva gli occhi grandi e un sorriso grande, carnoso. Non so dire con precisione in che cosa, ma
nell’espressione suggeriva una impalpabile rassomiglianza con Sara Simeoni, della stessa categoria
di donne longilinee che si divertono a vibrare le reni su asticelle che cadono con un soffio.

Tamara Bikova (si pronuncia con l’accento sulla “i”) era giunta da Mosca altera, svettante, bionda
in abito nero e sorrideva di gusto della rumorosa popolarità, quasi si trattasse di un Paolo Rossi o di
uno Zico, i campioni che in Italia fanno folla.

Chi accompagnava Tamara mi ha confessato con stupore: “È incredibile come i ragazzi e la gente la
riconoscano di prima simpatia”. Allora, mi sono detto, non è poi più tanto vero il vecchio luogo
comune secondo il quale l’italiano è soltanto un popolo di spettatori, accanitamente seduti, di
preferenza sulle gradinate di uno stadio di pallone. Se i giocatori cominciano a urlare per strada i
nomi della Bikova o di Alberto Cova, deve voler dire che lo sport si espande, che sulle gradinate ci
vanno anche i praticanti, che il nostro quotidiano pantheon di sport introduce facce nuove, specialità
minoritarie nel tifo.

Sul palco dal Palasport c’erano Ilario Castagner e il sindaco di Castelfranco, Celotto, che è un
milanista storico di gusti riveriani: i ragazzini urlavano “Milan”, altri “Juve” cercando cenni di
risposta da Tardelli e da Bettega. Il calcio non scompare mai quando c’è da far festa o allegra
cagnara, ma si leggono evidenti i segni di una mentalità che cambia, che cambia piano ma cambia: è
importante che si cominci a capire che la fatica, la preparazione, la bravura, l’exploit hanno pari
dignità e che Tamara Bikova o Alberto Cova non valgono per niente qualcosa meno di Rossi o di
Zico. Il calcio serve ad accompagnare la folla allo sport.

L’”Atleta d’oro” è riuscito anche quest’anno a fare del Veneto terra che ospita senza manipolare
l’ospite, con una sorta di pudore nell’accoglierlo. Ci sono sponsor e sponsor, pubblicità e pubblicità,
gente che specula e gente che investe: la “Diadora” appartiene a quest’ultima categoria,
rappresentando bene nello sport l’imprenditorialità delle tante aziende di modello veneto. Spende
molti milioni per darsi immagine con un premio internazionale senza far soffrire a chicchessia la
sgradevole sensazione d’essere usati.

La Marca resta gioiosa.