1983 ottobre 16 La Svezia umilia la “nuova” Italia

1983 ottobre 16 – La Svezia umilia la “nuova” Italia

La Svezia non ha fatto differenza: a Goteborg macellò la vecchia Italia; a Napoli ha umiliato la
nuova. Cinque gol contro nessuno sono una distanza da mettere paura, se solo pensiamo che nel
totale delle due partite il calcio italiano ha messo in campo tutto il meglio di sé, la squadra del
mondiale e i suoi presunti eredi. La Svezia non è la Grecia di Bari, cioè una squadra abbastanza
grossolana in un amichevole gita. La Svezia ha dimostrato prima di tutto un’impressionante
superiorità fisica, che ha letteralmente schiantato le delicate intenzioni italiane.

Le immagini televisive devono averlo mostrato con inconfutabile chiarezza: atleticamente parlando
non c’è mai stata partita. La Svezia si allungava e si accorciava con una compattezza da manuale
del gioco di movimento: chiudeva in dieci e, un attimo dopo, attaccava in dieci. Gente come
Dossena, come Bagni, come Rossi, come lo stesso Conti, ne sono usciti spremuti, bucce da buttare
tra i rifiuti di Fuorigrotta.

Lo spettacolo atletico messo in piedi dalla Svezia è stato pari alla progressiva resa dell’Italia, alla
quale quel mucchio di biondi schiacciasassi ha consentito soltanto alcuni minuetti del primo quarto
d’ora, soprattutto con Bruno Conti. Palleggi reiterati, piroette e giravolte, stop in sospensione e
dietrofront che volevano essere soprattutto un omaggio a una platea particolarmente sensibile alle
ingenue fascinazioni della tecnica e del sentimento.

Gioco alla mano, la storia era tutta diversa. La Svezia ha cancellato l’Italia a centrocampo. Le punte
Rossi-Giordano erano troppo statiche per aggirare i vikinghi; Bagni, ex ala ed ex mediano, si
vedeva costretto ad un ruolo di terzino laterale destro che estraniava da ogni schema; Dossena e
Ancelotti stanno ancora elucubrando se muoversi marcando l’avversario o a zona. La Svezia non si
preoccupava di loro; loro si preoccupavano moltissimo degli avversari e ahimè, invano, in una sorta
di mezza cattività, non riuscendo né a marcare né a far gioco.

Un giocatore illustra la partita meglio di cento righe di commento, Glenn Stromberg, il numero
sette, in realtà il regista della Svezia e, da privato professionista, l’uomo-guida del portoghese
Benfica. Stromberg è un atleta da saga nordica, molto alto, molto ben fatto, i capelli lunghi e d’oro.
È un tipo burlone, che ama la birra e gioca benissimo a ping-pong. Nasce in una paesino che si
chiama Lerkil e ha soltanto 23 anni, ma una resistenza che mi ha rammentato il Coeck belga al
Mundial 1982. Stromberg si guardava con Dossena nel primo tempo, con Ancelotti nel secondo, ma
ha sempre vinto lui, ovunque. Oltre a ispirare gioco, ha segnato due volte e ha mancato una terza
rete a Napoli. Ha calciato con entrambi i piedi, una volta frontalmente, una in diagonale, sempre
dalla piena area di rigore. È stato soprattutto lui a mettere emblematicamente in risalto la potenza
svedese che, vincendo a man bassa a centrocampo, riusciva ad aggredire una difesa azzurra in
evidente sudditanza. Prima della mezz’ora era già 2-0.

Il nostro attacco era poi di una leggerezza a tratti perfino patetica. Sul gioco alto, nemmeno provarci
perché ci vogliono Rossi, Giordano e Conti, uno sopra l’altro assieme, per arrivare alle quote degli
scandinavi! Quindi, tutti a tramare i triangoli, ma quasi sempre con lentezza, rallentando le battute,
cercando impossibili e barocchi corridoi proprio dove la Svezia dava il meglio di sé, al centro.

Con i terzini Cabrini-Bagni bloccati in copertura, sono stati troppo rari gli affondi laterali. Non è un
caso che Rossi non sia riuscito a liberarsi a un solo tiro e che Giordano ce l’abbia fatta soltanto a
una decina di minuti dalla fine.

Avete presente l’Italia di Bari contro la Grecia? A Napoli si è vista la stessa Italia, ma quella del
mediocrissimo secondo tempo. Con in più una dose si fatalità che serve magnificamente a
inquadrare il dramma.

Per ben due volte, la Svezia ha segnato pochi istanti dopo le migliori percussioni dell’Italia.
Stromberg ha fatto l’1 a 0 sul contropiede di una palla-gol sciaguratamente sbudellata da Bergomi
sul portiere in uscita. Sunesson ha messo dentro il 3 a 0 quando la Nazionale stava ancora
rimuginando sul 2 a 1 annullato ad Ancelotti per fuorigioco di posizione di Giordano. Insomma un
micidiale meccanismo che faceva pagare alla squadra ogni errore, ogni sbavatura.

Il che non deve sembrare una struggente arrampicata sugli specchi: la Svezia ha vinto perché
superiore ovunque, perfino in difesa, nonostante i grevi interventi di un Dahlqvist, brutto a vedersi
fino alla più irsuta broccaggine. Ad un certo punto la resa azzurra ha toccato conteggi imbarazzanti,
come quel Dossena che consegna quattro passaggi consecutivi agli svedesi.

Qualcuno si chiederà perché Bearzot non abbia cambiato nulla, rinunciando a mischiare qualche
Tardelli o Antognoni all’Italia dell’…avvenire. nonostante spiegazioni probabilmente diverse, penso
che il ct abbia voluto di proposito raschiare il fondo del barile della Nazionale post-mundial. Con
cuore di pietra, ha ottenuto da un pomeriggio desolante almeno il risultato di non confondere le
carte, alimentando equivoci. Se l’Italia fatta a mosaico aveva bisogno di declinare le generalità, che
almeno le desse per intero, senza coinvolgere l’illustrissima panchina.

Personalmente siamo sorpresi dal 3 a 0, non dalla verità implicita in esso. Siamo sempre stati
convinti che gli eredi non ci siano ancora e che la Nazionale del 1982 sia abbondantemente la
migliore di Bearzot. Bordon non vale ancora Zoff; Baresi è distante da Scirea; la regia di Dossena
ha i chiaroscuri di sempre: un Gentile e soprattutto un Tardelli non li si possono inventare dalla
mattina alla sera. Ma soprattutto non si può organizzare di colpo una nuova squadra imponendole il
gravoso obbligo di far lievitare i ricordi che sono irripetibili perfino per la vecchia Italia di
Barcellona e Madrid.

La lezione di Napoli allarma sullo stato effettivo della Nazionale complicando i lavori in corso di
Bearzot anche perché la realtà del campionato, con la sensazionale eccezione autarchica del Verona,
privilegia gli assi stranieri. Forse per questo, la scorsa notte all’hotel Royal, intrattenendomi con
l’avvocato Sordillo, gli ho sentito dire: “Mi fa un piacere enorme questo Verona, che riesce a far
spettacolo con tutti giocatori italiani. In un certo senso, e pur apprezzando assi di ogni passaporto, è
la squadra che più si ricollega al favoloso ricordo di Spagna”.

Dopo aver vinto il Mundial, Enzo Bearzot è impegnato a ricostruire una memoria almeno dignitosa:
forse farà più fatica da Napoli in poi di quanta non ne fece da Vigo in su.

La Nazionale non ha fatto il miracolo di alleviare almeno per un’ora e mezza l’infelicità di Napoli:
a nuttata non è passata.