1979 maggio 14 Bruciate a Bergamo le illusioni vicentine

in un paio di annate,

1979 maggio 14 – Bruciate a Bergamo le illusioni vicentine
Veneto senza serie A

BERGAMO – Da un quarto di secolo l’intero Veneto non si vedeva
escluso dalla Serie A. Lo è da ieri pomeriggio dopo che il Vicenza,
in patetica imitazione del Verona, ha tolto il disturbo retrocedendo
in B. Il Vicenza ’79 ha ridotto in strame tutto quanto di buono e di
esaltante aveva costruito
tanto da
rammentarmi la parossistica voluttà di certi matti che vanno per
musei a sfregiare capolavori d’arte.
Forse non a caso, la scorsa estate a Buenos Aires, Giussy Farina
definì Paolo Rossi la sua “Gioconda”. E la Gioconda, si sa, non ha
prezzo.
A Bergamo c’era quasi tutta la Vicenza del calcio, le facce che
incontri ogni domenica e che portano segnato un ventennio di
serie A.
In quelle facce ho letto stupore. Né lacrime né bestemmie, soltanto
l’impreparazione alla serie B.
Un provinciale conosce per definizione la serie B. Vicenza è città
di 120.000 abitanti che non fa scandalo per la serie B. Ma questa è
una retrocessione brutta e fastidiosa, che nemmeno Vicenza
riesce a capire.
Vicenza si sente presa per il bavero.
Vicenza soffre una crisi di identità, l’impressione di aver giocato
con la serie A soltanto per il gusto di vedersela privare.
Sabato sera Giussy Farina era rientrato da un viaggio d’affari in
Spagna. Credeva d’essere in tempo per una corrida tutta sua, ma
gli è mancato il matador, persino Paolo Rossi, la sua “Gioconda”.
Stretto come in un cappio di muscoli da uno stopper di Vittorio
Veneto, Paolo Rossi non ha visto il gol. Ha visto la porta buia,
come accadde un giorno a Gigi Riva, il campione che segnò con il
suo marchio gli anni ’60.
La retrocessione è un lungo brivido e il Vicenza se lo porterà a
lungo addosso.
Vicenza impiegherà anni a tentar di capire che una squadra possa
arrivare seconda nel ’78 e penultima nel ’79. Il Vicenza che va in B
è qualcosa di più di una squadra che retrocede: è un ambiente che
inciampa in un muro e non ha nemmeno la consolazione di
recitare il mea culpa.
Il calcio recita risultati, ma non preghiere.

La faccia più biscottata di un toast, Farina ha bisbigliato ieri sera:
“Forse ci terremo Rossi”. Ha detto naturalmente una bugia perché,
con oltre cinque miliardi di passivo, una società quale il Vicenza
non può permettersi più a lungo il lusso di Rossi.
E lo stesso Rossi ha troppa fame di scudetti e coppe europee per
provincializzarsi a vita.
Le belle parole volano, le ambizioni restano.
Alle buste con la Juve, Vicenza aveva ridicolizzato persino l’offerta
ispirata da “casa” Agnelli.
Ieri, sotto il caldo sole di Bergamo, i 2.612 milioni offerti per la
seconda metà di Rossi hanno attraversato l’aria come un sibilo
maligno, una risata del destino, una legge del contrappasso mai
tanto carica di sarcasmo. Il Vicenza che aveva fatto di Rossi il
simbolo della sua fortuna e della sua stabilità, ha sprecato talenti,
gol, il ricordo di un paio di stagioni irripetibili.
Già lo scorso febbraio i dirigenti del Vicenza pianificarono
l’imminente mercato tanto era lontana da loro soltanto l’ipotesi di
retrocedere. Gli stessi giocatori non misero in discussione un
premio-salvezza, tanta era la fiducia nei propri mezzi.
Adesso tutto finisce nell’archivio delle illusioni, mentre la pellicola
del campionato viene rivisitata all’indietro e trenta partite giocate
passano davanti agli sguardi come un lungo, impiastricciato, inutile
sudore.
Attorno a Paolo Rossi Vicenza si gonfiò come la rana della favola
di Esopo in un’avventura che ha fatto dire a Sergio Campana: “Per
due anni Vicenza ha provato l’ebbrezza di andare in Rolls Royce”.
Chissà se il tempo manterrà l’emozione di quel viaggio o, piuttosto,
lo sbigottimento di ritrovarsi da ieri con il sedere per terra.
Tutto è incerto ed incolore dopo lo shock di Bergamo, a
testimonianza che anche le amene storie del calcio sono spesso
intricate quanto gialli di Agatha Christie.
Perfino Giuseppe Farina, che voleva chiudere con il Vicenza dopo
undici anni di presidenza, sarà per coerenza costretto a restare al
suo posto.
Quando si perde, non si è per davvero più padroni di nulla. Né di
Rossi, né di andarsene.
La serie B è un’edera.