1979 luglio 5 Rally e sicurezza

1979 luglio 5 – Rally e sicurezza

Avendo molti lettori criticato l’interpretazione data dal nostro
giornale alla sospensione del Rally delle Alpi Venete, era naturale
e robusto il sospetto che l’errore stesse davvero dalla nostra parte.
Senonché, le critiche ci sono piovute addosso da destra e da
sinistra, di segno diametralmente opposto, tanto da indurci alla fine
a ritenere che la nostra posizione fosse probabilmente la meno
comoda e la meno demagogica, ma anche la più costruttiva e
serena.
Qualcuno ci ha infatti accusato di aver drammatizzato l’incidente,
altri di averlo minimizzato. Qualcuno ci ha rinfacciato la mano
leggera nei confronti degli organizzatori, altri una severità
eccessiva. Un concorrente trevigiano ha ritenuto la nostra cronaca
lacunosa nel descrivere il pressappochismo della corsa, uno
sportivo bellunese ci contesta allarmismo da quattro soldi nell’aver
ipotizzato future difficoltà per i rally veneti.
Queste alcune testimonianze testuali: “In una prova le vetture
arrivavano a 140 all’ira e c’erano persone che attraversavano il
rettilineo come galline incoscienti”. “Sono stato lungo il percorso e
ho riscontrato molta disciplina”. “Dove è accaduto l’incidente, gli
addetti si erano incredibilmente posti all’esterno del curvone
anziché all’interno”. “L’incidente è stato frutto di fatalità”. “Un rally
con tanta folla deve avere al massimo 50 rallisti esperti, a invito,
non iscrizioni aperte a ogni principiante”.
Di fronte a osservazioni tra loro tanto contrastanti, è banale
scambiare la parte per il tutto, fermarsi al dettaglio di un cronista
piuttosto che trarre meditate lezioni per tutti. Trascurate le diagnosi
più settarie, val cioè la pena di guardare alla realtà che tenga
conto
tanto dello sport quanto della sicurezza. Noi siamo
dell’opinione che a privilegiare drasticamente l’una o l’altra, si
finisca con il paralizzare qualsiasi iniziativa. In ogni cosa della vita
è questione di misura, di limiti, di garanzie.
Il rallismo è uno sport giovane, di giovani. Non è uno sport
demotivato. E’ al contrario una specialità che abitua alla disciplina,
all’autocontrollo, alla centesimale amministrazione si sé, del
compagno di guida e della vettura. Il rally esprime una guida
eclettica, graduale, di prove dissimili da superare in progressione.
Perciò può essere scuola d’istinto sociale.
Il nostro giornale dà per tale ragione spazio al rally. Tra i suoi
collaboratori ha giovani quali Zucchi, Zami, Vudafieri, piloti,

navigatori, appassionati. Proprio il discusso Rally delle Alpi Venete
era inoltre appoggiato dal nostro giornale attraverso una scheda-
votazione sponsorizzata.
Il problema non è dunque di essere semplicemente pro o contro i
rally, tra i disfattisti o tra gli amanti di bocca buona. Il nodo
autentico sta altrove. Manifestazioni di massa debbono nello sport
moderno essere sorrette da un’organizzazione massiccia,
scrupolosa, pedante. Sì allora al rally, ma a patto che i suoi rischi
siano legati all’imponderabile, non tanto a maglie troppo larghe
nella sua cornice di folla.
Nessuno di noi è contro il rally, semmai l’esatto opposto. Ma
nessuno di noi se la sente di scordare che una macchina che
viaggia a 140 all’ora tra la gente non è una pallina di ping-pong.
Siamo certi che i lettori più avvertiti, sopratutto gli stessi rallisti,
avalleranno questa nostra riflessione.