1978 maggio 31 Ma la Nazionale chi la fa? Bettega

1978 maggio 31 – Ma la Nazionale chi la fa? Bettega

BUENOS AIRES – Due gradi di temperatura, minimo stagionale, e un vento da volar
via. I giardinieri bagnano i campi d’allenamento, duri quanto asfalto. Chi ha magagne
muscolari, come il francese Tresor, teme di rompersi definitivamente. A Mar del Plata
i brasiliani portano le calzamaglie e sognano Copacabana che anche d’inverno è assai
più mite.
Le guance di Bearzot hanno il colore delle ali di gabbiano. Sostiene che la squadra è
un nido di gente tranquilla e affiatata, evidentemente ignorando che i Maldera, i
Claudio Sala, i Pulici ne hanno già piene le scatole di star qui a fare tappezzeria. Lo
stesso Baroti, allenatore dell’Ungheria, è giunto a Baires con soli 20 giocatori sia per
risparmiare sia per… evitare le riserve rompiscatole.
Non c’è verso di far leggere a Bearzot la formazione anti-Francia, anche se Cabrini
sembra sicurissimo e Rossi sicuro. Rossi è il giocatore più intervistato della squadra,
nemmeno la polizia avrebbe il coraggio di porgli tante domande, e forse neppure uno
psicanalista o il suo amico prete della Cattolica Virtus di Firenze, dove giocò da
ragazzo. Dopo averlo ascoltato per un’ora, Paolo Bugialli (corrispondente politico del
Corriere da Madrid) me lo ha riassunto con un aggettivo castigliano: “listo”, per dire
di persona intelligente e furba.
Bearzot non ha ancora detto una sillaba, né a Cabrini né a Rossi né a Graziani.
Quest’ultimo ha però interpretato il silenzio come un’esclusione più che come una
perplessità del Ct. “Di solito – spiega – me lo diceva dieci giorni prima, adesso non si
è ancora fatto vivo”. A sentirlo tanto garbato e disposto ad accettare la panchina,
Memo Trevisan quasi lo abbraccia, sussurrandogli in triestino, “Te son de oro”, il che
fa molto piazza Unità anche per l’insistenza di una rabbiosa bora argentina.
Graziani tesse elogi di Rossi, Rossi canta salmi di Graziani, il vecchio e il giovane
sono di una professionalità persino sconcertante conoscendo le affatto deamicisiane
gelosie che di solito caratterizzano l’ambiente. Ma non è tutto paradiso ciò che
sembra. Lo stesso Graziani si chiede perché debba essere discusso lui e mai, tanto per
non far nomi, Causio.
Il fatto è che la nazionale pende dai piedi e dalle labbra di Bettega e che Bettega vuole
Causio, tagliando contemporaneamente fuori due possibili ali destre, Claudio Sala e
Rossi. Ragionando poi in termini di condizione fisica, Graziani non ha tutti i torti
quando constata che Antognoni corre puntando su un piede, non dico che zoppichi,
ma certo non ci sta completamente a proprio agio.
Tutti ragionamenti sacrosanti, non fosse che Bearzot viaggia secondo un altro fuso
orario. Non ha per esempio mai pensato di escludere Benetti, tecnicamente fin troppo
modesto per un mondiale, togliendo un grintoso come Graziani: considera invece
inamovibile Causio che, lontano da Torino, non ha mai avuto molto corazòn.
Dovendo vincere, un attacco con tre punte (Bettega-Graziani-Rossi) sarebbe stato la
soluzione più funzionale. Omar Sivori impiegherebbe Rossi a destra, Luis Carniglia
scanserebbe a destra Graziani portando Rossi al centro, in definitiva tutti e due gli ex-
oriundi
sfruttati
contemporaneamente. L’alternativa dura e cruda tra Graziani e Rossi conduce invece
ad una barricata psicologicamente rischiosa. Graziani si chiede “Possibile che miglior
centravanti d’Europa, come mi definivano, sia diventato un giocatore qualunque?”. E
Rossi aggiunge con uno sguardo obliquo: “Se gioco io e perdiamo 3 a 0, mi mettono
in croce!”
Dodici anni fa in Inghilterra, Rivera era il golden-boy. Ora a Buenos Aires chiamano
Rossi “el niño de oro”, sempre trattandosi di ragazzi d’oro. Lui ci sta, disponibile,

essendo d’accordo

tre giocatori

andrebbero

così

che

bravissimo ad evitare le risposte da primo della classe. Per conto della televisione ha
perfino intervistato Platini senza capire un’acca di quanto andava dicendo il grande
Michel per la semplice ragione che non conosce una sillaba di francese, contemplando
i suoi studi di ragioneria l’inglese e il tedesco.
Il ragionier Pablito Rossi confessa che due anni fa non avrebbe “scommesso una lira”
sul suo avvenire di capocannoniere e di centravanti della nazionale. Ora è qui a
doversela vedere con lo stopper Rio e Tresor, libero di spinta capace di una lezione
tattica buona per tutti i giovani Carrera d’Italia. C’è chi lo vede ala (Vicini) e chi lo
preferisce centravanti (Bearzot) ma, nonostante una decina di partite con la Under, sul
piano internazionale resta ancora tutto da scoprire, tanto che lui stesso definisce
“niente di trascendentale” la sua esperienza extra-campionato.
Dopo un’ora e mezza di interviste, ieri mattina ha finalmente svicolato assieme a
Cabrini, un po’ raffreddato. All’uscita dallo Hindu Club ho rivisto un attimo Bearzot
che, per farmi capire la sua scelta sul numero nove, mi ha sibilato in un orecchio “Non
sono cieco”. Come dire, se non equivoco, che il Ct non ha nessuna intenzione di
diventare per la nazionale quello che è stato Boniperti alle … con il Vicenza: uno …
che di Rossi non ne voleva proprio sapere.