1976 luglio 29 Vittoria Dibiasi e Simeoni

Montreal luglio 29 – Successo degli atleti azzurri – Dibiasi e la Simeoni siglano a Montreal una
«giornata» italiana
Nel giro di ventiquattro ore gli italiani sono saliti quattro volte sul podio dell’olimpiade: oro della
piattaforma per il tuffatore Klaus Dibiasi, tre medaglie d’argento per Sara Simeoni nel salto in alto,
per gli sciabolatori e per la squadra di pallanuoto. Un exploit collettivo che, pur nella precarietà
delle strutture, mette in risalto la vitalità del nostro sport. I talenti ci sono, eccome, ma bisogna
meglio aiutarli a esprimersi. Fenomeno di longevità agonistica, Dibiasi ha incantato tutti, soprattutto
gli americani che gli dedicano sui giornali titoli ai confini dello stupefatto. Di madre austriaca e di
padre italiano, il campione di Bolzano è riuscito a mettere alla sua carriera un sigillo elevato al
quadro: con Montreal, le sue medaglie d’oro sono tre e due quelle d’argento. Nell’ultimo volo in
una piscina olimpica, Klaus ha immerso una immagine che difficilmente sarà fotocopiabile.
Guasconi e attaccabrighe gli sciabolatori sono riusciti a farsi rispettare come «tradizione» mentre i
quasi tutti liguri della pallanuoto sono pressoché ritornati ai supervalori degli anni ’60. Difficile
tentare una grande vittoria tra specialità molto diverse, ma accanto a Dibiasi va certamente posta
Sara Simeoni, una delle due-tre donne che si siano espresse in una olimpiade della storia
dell’atletica italiana, la prima che abbia vinto una medaglia nel salto in alto sia maschile che
femminile. Se l’atletica è la regina degli sport olimpici, Sara lascia una impronta che durerà e che
deve durare. «Chissà che a Verona – ha commentato il suo preparatore e futuro marito Erminio
Azzaro – cinquanta ragazze abbiano capito guardando la Tv e che vengano al campo ad allenarsi.
L’emulazione è forse la cosa migliore di una medaglia». Quando saltato con l’1 e 91 il record della
sua vita, la Simeoni ha avuto la certezza che sarebbe stata tra le prime tre al mondo, un pianto
dirotto le è uscito di dentro, la mano che passava svelta sugli occhi, una commozione intensa sul
volto segnato, persino stravolto da una gara durata più di quattro ore e dieci salti. Più tardi, sotto i
riflettori della sala stampa, si è presentata tenendo tra le mani la medaglia d’argento: «Quanto è
bella» ripeteva accarezzandola quasi fosse un cucciolo di cane «Con questa – ha aggiunto sotto i
flash dei fotografi – ho dimostrato a me stessa che non si tratta di una cosa irraggiungibile,
solamente da tedesche. La posso prendere anch’io, mi spiego?» Ti spieghi benissimo, cara Sara,e
sappiamo che cosa intendi dire. La Simeoni è un’«artigiana» come l’ha definita lo specialista dei
salti Fausto Anzil, che riesci a essere alla pari con le «professioniste». Non è un prodotto, non è una
paranoica dell’allenamento, non è un essere pianificato, si allena senza morirne, si sacrifica senza
torturarsi. Rispondendo al giornalista statunitense che voleva conoscere il suo carico di lavoro ha
risposto: «mi vergogno un po’ a spiegare la mia preparazione perché sono sicura che, per quanto
faccia, sono sempre abbondantemente al di sotto delle mie avversarie». Dibiasi ha vinto dopo giorni
e giorni di terapie a gambe e braccia. Gli sciabolatori hanno resistito a mille polemiche, i
pallanuotisti hanno dimostrato una passionalità d’altri tempi. Tra una straordinaria tedesca orientale
e una simpatica mamma bulgara recentemente operata al menisco, Sara Simeoni ha inserito la
semplicità e l’umanità della gente veneta. In tutto quanto ci hanno dato queste 24 ore io scopro una
ispirazione di cui andare sportivamente fieri. Mentre Sara usciva dallo stadio il cielo del Quebec era
terso, di un rosa mai tanto intenso e i ragazzini liberavano altissimi aquiloni. Un tramonto che
pareva confezionato su misura, con allegria.