Alberto Statera – Intervista su Giorgio Lago (2005)
Intervista su Giorgio Lago
Alberto Statera, 58 anni, oggi editorialista di Repubblica, è un giornalista romano, per quasi cinque anni, dal 1996 al 2000, direttore dei giornali Fine-gil (Mattino di Padova, Tribuna di Treviso, Nuova Venezia) e successiva-mente del Piccolo di Trieste fino al marzo 2005. In precedenza era stato all’ Agenzia Italia e caporedattore all’Espresso fino al 1983, direttore per tre an-ni alla Nuova Sardegna, poi per quattro anni direttore di Epoca e di Storia Illustrata, licenziato da Berlusconi dopo il suo arrivo alla Mondatori, nel ‘90. Quindi editorialista e poi capo dell’economia a Repubblica, infine dal ’91 al ’95 editorialista alla Stampa di Torino.
Alberto Statera, mi dicono che tu sei stato il direttore che ha fatto di tutto per avere nel suo giornale Giorgio Lago quando egli ha lasciato il Gazzettino. È vero?
«È verissimo. Quando arrivai nel Veneto, nel gennaio del ’96, Giorgio era ancora al Gazzettino. Ci sentivamo quotidianamente, non per inciuci tra giornali concorrenti, ma per stima reciproca. Lo conoscevo da anni, avevo seguito tutta la sua storia. A un certo punto era stato accusato di leghismo, ma non era un leghista. Era uno attento al Veneto e alla necessità di auto-nomia del Veneto, per una serie di valide ragioni. Lui poi giustamente insi-steva molto su tutti i temi che stavano a cuore all’imprenditoria locale, come le infrastrutture e quant’altro. Ma non era un leghista: sapeva bene che lo sviluppo del Veneto negli ultimi decenni, dalla pellagra in giù, era dovuto anche a uno scarso rispetto delle regole e del territorio, aveva ben presente queste cose. E ricordo perfettamente che ebbe anche un terribile scazzo pubblico con Gianni De Michelis…».
Questo nel periodo in cui De Michelis era ministro…
«… credo che fu uno scazzo che si svolse alla Fenice, nel quale da un lato si manifestava l’arroganza del ministro allora potente, e dall’altra c’era Gior-gio che qualcuno ha scambiato poi per uomo di destra, ma che tale non era».
Non era uomo di destra?
«Secondo me assolutamente no, anche se ormai in questo Paese distinguere tra destra e sinistra è un’impresa difficile per tutti».
Ma tu hai cercato di accaparrarti la collaborazione di Giorgio Lago perché volevi indebolire il giornale concorrente il Gazzettino, o perché volevi proprio quella persona lì?
«Tutte le volte che sono andato a dirigere giornali locali, e la prima volta fu in Sardegna nel 1983, naturalmente giravo il territorio e studiavo i giornali-sti locali. Quando arrivai in Sardegna, direttore della Nuova Sardegna, la prima assunzione che feci fu Giorgio Melis, che era condirettore dell’ Unio-ne Sarda, il giornale concorrente. Non lo feci, però, per una ragione di con-correnza, ma perché effettivamente allora Giorgio Melis mi sembrava il mi-glior giornalista sulla piazza. Nel ’96 nel Veneto si ripeté esattamente la stessa situazione».
Ma i giornalisti bravi sarà anche più difficile arruolarli, o no?
«I giornalisti bravi coi loro giornali hanno sempre dei problemi, o con le lo-ro proprietà se sono direttori. Li aveva anche Giorgio, che faceva un bellis-simo giornale: da allora in poi ho visto quel giornale degradare rapidamente. Tu mi dirai: ma i giornali non li fanno i direttori, li fanno le redazioni. Ve-rissimo, ma quando ci sono le redazioni poco motivate, incazzate … Il clima che il direttore crea è ancora importante».
Cosa invidiavi a Lago del suo giornale, allora?
«Ero molto invidioso dei fondi di Giorgio che erano perfetti. Lago faceva dei fondini, una colonnina tutti i giorni, 45 righe, che erano una cosa prezio-sa, perfetta. Tu andavi a Venezia, prendevi il motoscafo o il vaporetto, e il motoscafista o il pilota ci aveva lì il giornale e si leggeva quelle 45 righe, perché era la dimensione giusta, ed era sempre su problemi sostanzialmente locali. Io non ero assolutamente in grado di entrare nei problemi regionali con la sua acutezza, con la sua sintesi, anche perché l’ambiente l’avevo un po’ studiato, ma non ero ancora in grado di prendere posizioni, per cui Giorgio era la mia passione».
Eravate concorrenti…
«Certo, concorrenti a Padova e anche a Treviso, non a Venezia dove la pre-senza del Gazzettino allora praticamene ne impediva ogni altra. Ma ci senti-vamo sempre e un giorno mi raccontò che aveva un problema con la pro-prietà…
Effettivamente in quei mesi qualche problema c’era…
… so che lui sarebbe anche rimasto a scrivere per il Gazzettino, ma ebbe dei discreti problemi con la proprietà, adesso non ricordo i particolari, sono pas-sati dieci anni. Io gli buttai là: «Perché non vieni con noi? ». E lui mi disse: “Ci penso”. Finché un giorno – lui aveva già lasciato – tornai alla carica: “Guarda, io ho chiamato Caracciolo, il presidente del nostro Gruppo. Perché non vieni con me a Roma, andiamo a pranzo con lui e parliamo?”».
La risposta?
«Venimmo a Roma insieme, andammo a pranzo a casa di Caracciolo, nel giro di un quarto d’ora Lago lavorava per il nostro gruppo. Ha collaborato per circa dieci anni, scriveva anche su Repubblica, ma più volentieri su Mat-tino, Tribuna e Nuova».
Sei stato soddisfatto poi, di questa esperienza?
«È stato un rapporto meraviglioso con uno dei giornalisti più bravi e una delle persone più per bene che io abbia mai conosciuto nella vita. Di lì poi quella che era una buona conoscenza professionale è diventata un’amicizia stretta».
E il Gruppo, ne fu ugualmente soddisfatto?
«Caracciolo, che già lo conosceva, manifestò una stima immediata tanto che altre proposte vennero fatte a Lago negli anni successivi, ma lui disse sem-pre di no: non voleva lasciare il Veneto E per il Gruppo scrisse fino all’ ul-timo giorno».
E quando poi, nel 2000, sei passato al Piccolo?
«Il rapporto è continuato, Lago è diventato l’editorialista di punta del gior-nale triestino, anche con articoli diversi da quelli che scriveva per degli altri giornali del Gruppo. Anche perché nell’ultima fase il Gruppo utilizzava molto Giorgio per scrivere di sport, cosa che io gli avevo sconsigliato. A di-re il vero lo avevo consigliato anche di scrivere un po’ meno, ma lui aveva quest’ansia di scrivere… ma soprattutto gli dicevo: se ti faccio scrivere di politica, puoi scrivere di sport solo se c’è il grande evento, l’occasione spe-ciale. Lui lo capiva benissimo, ma la sua voglia di scrivere era tale che in sostanza non rifiutava mai niente».
Lago l’hai conosciuto bene: allora, quali erano il suo pregio maggiore e il suo maggiore difetto?
«Pregio maggiore? Umanità, lucidità nell’affrontare i problemi, amore per a terra, sconfinato e persino eccessivo certe volte, gentiluomo d’antico stam-po, giornalista di prima: la citazione dei suoi fondi che ti ho già fatto, è tut-to. Ma soprattutto giornalista della mia generazione, cioè un giornalista che può scrivere di tutto, dalla sport alla politica e all’economia, perché ha il senso della notizia e la capacità d rapida interpretazione. Poi persona straor-dinaria sul piano umano, con il dono dell’autoironia».
Autoironia?
«Certo. Basta vedere come mi raccontava le vicende della sua malattia, l’ospedale, il rapporto con i medici e il personale sanitario: riusciva a sorri-dere anche sulle cose più preoccupanti o imbarazzanti».
E il difetto maggiore?
«Al telefono era logorroico. Parlare al telefono con lui quando avevi molto da fare diventava un’impresa. Non ti dava tregua. Quando attaccava: “Ma, perché…” non riuscivi a sganciarti, qualunque appuntamento ti aspettasse. Comunque appassionato, con eloquio intenso…»
Del suo Gazzettino, che cosa resta?
«Intanto il ricordo di tre quarti della redazione che credo lo rimpiangano, e questa è una cosa che a noi giornalisti capita raramente. Poi resta il Gazzet-tino più bello degli ultimi decenni, il primo giornale pluriregionale, anche per dati di vendita e per autorevolezza. Che poi autorevolezza è farsi leggere dal motoscafista come dal ministero degli Esteri».
di Alberto Statera