1990 maggio 17 Governare è un’arte smarrita
1990 maggio 17 – Governare è un’arte smarrita
Due giorni a Roma sono bastati a darci un quadro desolante: a tre settimane dal
Mondiale  di  calcio,  una  città  che  è  tutta  un  cantiere,  in  periferia  e  al  centro,
sfasciata,  incompiuta,  dove  tutto  è  in  ritardo.  Nonostante  otto  anni  di
preparazione,  l’impressione  è  che  il  Mondiale  sia  stato  assegnato  all’Italia
l’altro ieri. Alcuni lavori vengono rattoppati alla meglio, per chiudere i buchi,
ma è chiaro come il sole che, passata la festa, dovranno rimetterci mano per la
sistemazione vera. Con quale crescita dei costi si può facilmente immaginare.
«Un Mondiale da pezzenti», avevamo profetizzato tre anni fa temendo la brutta
figura. E oggi gli organizzatori dicono: «C’è solo da pregare».
La  questione-Expo  è  anche,  forse  soprattutto,  questa.  Un  appuntamento  così
complesso  per  una  città  così  tormentata  come  Venezia  richiederebbe  una
gestione  di  tipo  parigino:  efficiente,  veloce,  rigorosa,  affidabile,  scandita  nel
tempo e nello spazio, culturalmente sofisticata. Ma chi è in grado nella Venezia
di  oggi  di  garantire  la  sperimentazione  del  «numero  chiuso»,  l’applicazione
della tecnologia nel controllo dei flussi, l’avvio di un circuito artistico dentro il
quale Venezia sia una tappa coordinata dell’intero Veneto?
Se  cresce  in  queste  ore  l’opposizione  al  progetto  Expo,  è  anche  perché  –  a
prescindere  dai  progetti  che  ancora  non  conosciamo  e  dagli  studi  che  sono
ancora  parziali  –  nessuno  si  fida  minimamente  della  qualità  degli  interventi.
Cresce  il  numero  di  quelli  che,  pur  senza  considerare  l’Expo  una  «calamità
naturale»,  temono  un  meccanismo  perverso:  l’assegnazione,  un  periodo
conflittuale,  l’avvio  delle  realizzazioni,  l’impatto  finale  con  i  ritardi,  con  la
precarietà,  con  lo  sfascio  delle  cautele  preliminarmente  assicurate  a  una  città
d’acqua  che,  in  delicatezza,  potrebbe  essere  superata  soltanto  da  una  «città
d’aria», come disse il poeta.
Quando un assessore se la prese con i saccopelisti, lo aggredirono tutti perché
avrebbe negato Venezia ai giovani e intimarono al Comune che l’unica strada
era  quella  di  aumentare  gli  ostelli  della  gioventù.  Non  è  accaduto  nulla  e  del
resto nessuno era tanto ingenuo da attendersi qualcosa. É questa Venezia inerte,
pasticciona  e  logorroica  che  mette  paura  più  della  stessa  Expo.  É  questa
Venezia,  che  si  sta  paralizzando  fra  la  disattenzione  di  troppi  anche  nella
salvaguardia  e  sul  disinquinamento,  a  non  offrire  sicurezza.  E  l’Expo  è
soprattutto  questo,  una  buona  gestione,  dunque  un’arte  di  governo  andata 
smarrita. A Roma come a Venezia.