1990 luglio 19 Tragica non clamorosa

1990 luglio 19 – Tragica, non clamorosa

É una sentenza angosciante, non clamorosa.
Come altre, dopo dieci anni lascia impunita una strage: e dunque clamorosa non è.
Semmai, sarebbe stato clamoroso il contrario, cioè l’accertamento della verità: per
Bologna come per Ustica restano puntuali soltanto gli anniversari e i misteri.
Inoltre, non è una sentenza clamorosa perché siamo abituati, soprattutto sul fronte
della lotta alla criminalità organizzata, a prendere spesso atto che monumentali
procedimenti d’accusa reggono al massimo al giudizio di primo grado. In appello,
svaporano nel nulla, per vizi di forma o inconsistenza nel merito.
Nel caso di Bologna come in altri, i danni che da ciò derivano al comune
sentimento di giustizia sono impressionanti. Istruttorie evidentemente fragili fin dal
primo atto o minate dal desiderio di dare comunque un volto ai criminali di turno,
procurano spropositate attese, frustrazioni nelle famiglie delle vittime, sentenze di
condanna che cedono in blocco alla verifica dei processi di secondo grado, meno
emotivi e più esigenti.
Non di rado le sentenze di assoluzione appaiono odiosamente inique perché noi
tutti siamo depistati e illusi da rinvii a giudizio alla rinfusa, con mandanti buoni per
tutte le stragi e killer onnipresenti. In queste condizioni, dovremmo definire
«clamorosi» certi riti accusatori più della ratifica finale che i fatti non sussistono.
Esiste una giustizia per le vittime, ma non può essere mai sommaria, ottenuta
contro la stessa giustizia cui hanno diritto gli imputati, anche i peggiori ceffi della
nostra oscura storia di stragi. Perciò bisogna stare molto attenti a giudicare i giudici
secondo il mero criterio del «fuori i colpevoli» quando, fra l’altro, altri organi dello
Stato – deputati alla nostra sicurezza – si sono fino all’altro ieri distinti nel sottrarre
prove proprio ai destinatari d’esse.
I sei giudici popolari e il magistrato presidente della Corte d’assise d’appello del
tribunale di Bologna sono stati 15 giorni in camera di consiglio dopo 80 udienze
dibattimentali: sono intuibili il loro impegno nel dare risposte certe, il loro tormento
nel non incontrarle negli atti, la loro sofferenza nel dover prendere atto che una
orrenda carneficina restava ancora impunita. Ma la civiltà del diritto domanda
sempre il meglio alla nostra coscienza ed esige che il destino dell’ultimo uomo
valga quanto l’indignazione di un intero Paese.