2005 gennaio 12 È il solito Senatùr

2005 gennaio 12 – È il solito Senatur
Defensor Berlusconi. Umberto Bossi è rientrato in mischia con il fiato che gli basta per fare a pezzi
ogni paradosso: rischia di sfasciare il centrodestra ma lo fa per salvarlo. Dai restauratori, dai riciclati,
dalla manomorta moderata, dalla felpa democristiana, dai riformisti di complemento, dalle lobby dai
manovratori centristi, dalla perfidia regionale dei presunti aspiranti a succedere a Berlusconi. Il pretesto
sono le elezioni regionali, il fine saranno le politiche. Il leader della Lega Nord non ha mai amato la
Casa delle libertà né tanto meno l’ha mai sentita come casa del suo Nord padano. Ne fa parte per
realismo, per non ridurre il leghismo a ininfluente testimonianza lombardoveneta, ma soltanto dopo
essersi assicurato la scorciatoia del faccia a faccia privilegiato, da leader a leader, con l’ex odiato
Berlusconi. Bossi non abita la Casa, coabita con Berlusconi in esclusiva, stop. Nello scassato
bipolarismo all’italiana, Bossi ha inaugurato una variabile tutta interna al centrodestra. Il bipolarismo di
coppia, lui e Berlusconi; il resto della Casa può attendere. Pur piegato fisicamente da dieci terribili
mesi, Bossi non è cambiato. Nemmeno dieci anni di rianimazione lo modificherebbero. È sempre lui, al
cento per cento; fa politica anche callida fuori dai consueti tracciati di potere. Arresosi alla
impresentabilità della vecchia secessione territoriale, è separatista nel linguaggio, nelle parole d’ordine,
nella tattica campale, nelle spallate.
Ilvo Diamanti ha posto, domenica scorsa su questo giornale, un quesito cruciale: «Ma la Lega ha
bisogno di Bossi?». Sì, non può farne a meno. Nel bene e nel male, Bossi resta la Lega; non la
identifica, la incarna. A mio parere, anche i ministri leghisti che si sono esposti durante la lunga
malattia del segretario federale restano comparse. Hanno un ruolo senza comando. A Bossi manca oggi
l’urlo, non l’intatto carisma santificato dal «popolo» leghista. Lui revoca accordi in Veneto: ha detto il
sottosegretario Dozzo, deputato veneto, che nessuna intesa regionale vale senza l’avallo di Bossi,
nessuna. Alla prima uscita, ordina di alzare il tiro come ha sempre fatto a urne elettorali incombenti.
Non intima soltanto ai «governatori» di Forza Italia; mette in riga anche i suoi dal trattativismo qua e là
strisciante. Bossi sa meglio di tutti che la sua «storica» devoluzione è nata stanca, strascicata, quasi
svuotata, applicabile alle calende greche cioè esposta al rischio di una molle narcosi istituzionale. Sa
anche che il termine federalismo è un guscio vuoto; se tutti si dichiarano federalisti, la Lega federalista
diventa una frase fatta. Teme l’isolamento, teme di più l’imbonimento: l’ideologia dell’ex
«rivoluzionario» resta questa. Con Umberto Bossi ritorna la Lega, tale e quale, un movimento politico
con l’anima del buttafuori della politica. Non è un nuovo Bossi. È Bossi.
12 gennaio 2005