2004 novembre 3 Battaglia sul Piave

2004 novembre 3 – Battaglia sul Piave

Si pensa che Piave voglia dire acqua che scorre; e il fiume del Veneto ha fatto scorrere un paesaggio,
una cultura, una natura di faggi sassi cornioli anguille e pettirossi, un amore di popolo e intellettuale
che fece dire allo scrittore Giovanni Comisso: E’ il mio Eden.
Era un fiume femmina, la Piave, diventato per la prima volta maschio con il poeta Carducci.
Quasi un destino, il Piave avrebbe via via perso la tenerezza del dialetto preparandosi in tempo a
mormorare “non passa lo straniero”.
E’ un fiume cippo, una golena del ricordo, un’isola dei morti e dei pensieri, un fiume che ha visto la
Storia maiuscola straripare di sangue nel suo letto con la Grande Guerra mondiale, prima vera
esercitazione dell’unità d’Italia, costata ai nostri padri, nonni e bisnonni più di seicentomila morti.
“ Entra in scena il Piave”, così Mario Isnenghi e Livio Vanzetto sintetizzano storicamente il 1917,
mentre un fante senza nome scrive: “Tutti eroi al Piave o tutti accoppati”. Tra Caporetto e Vittorio
Veneto, tra la rotta e la vittoria, ci fu di mezzo il Piave che permise nel dopoguerra di battezzare tante
bambine Vittoria o Redenta.
La chiamano {leggenda} del Piave; {Il caimano del Piave} era il titolo di un film; Nervesa, Moriago,
Sernaglia… si completano con {della battaglia}.
Sui ponti che attraversiamo ogni giorno nel distratto caos del traffico, i gialli cartelli stradali lo
identificano come {Fiume sacro alla Patria}, la patria come Heimat direbbero i tedeschi, la patria
spirituale, la patria cara al presidente Ciampi, la stessa che dal Grappa al Piave, dal Pasubio
all’Altopiano di Asiago teneva insieme soldati veneti e siciliani, friulani e pugliesi, ma che oggi fa
fatica a identificarsi quale richiamo civile della società e/o della politica.
{Finiamola con la retorica del patriottismo}, ha brontolato ieri il leghista Luca Zaia, buon presidente
della Provincia di Treviso, in un’intervista.
Pur considerando la retorica più fastidiosa di un prurito, a mio parere le lontane date del Piave sacro
alla patria sono quanto di meno retorico si possa oggi immaginare. Di quella storia della Sinistra e
Destra Piave nulla si tramanda di magniloquente, prolisso, enfatico, autocelebrativo o declamatorio
a scoppio ritardato, nulla di retorico appunto.
Semmai il contrario. I monumenti del Piave sanno bene che cosa fu la guerra Grande, la più grande
trincea del morire e del sopravvivere con l’eroismo anonimo di milioni di uomini senza medaglia
d’oro, di un milione di profughi nel solo Nordest di oggi, di sfigurati invalidi, di contadini veneti
sradicati, di fame aggiuntiva alla fame di sempre.
Una storia di stragi, di sconfitte, di errori, di rivincite e di controffensive di soldati italiani degni di un
vecchio elogio di Napoleone. Storia di paura, di diserzione, di fucilazioni per tenere su il morale delle
truppe insidiate dal {disfattismo}.
Di errori strategici, di reticolati e di mitragliatrici sfidate in massa. Di pallottole austriache deformate
perché le ferite ferissero per sempre. Non un miracolo finale, sosteneva Indro Montanelli, ma una
storia senza pietà. Non sono retorici gli Alpini; non lo è da Nervesa lo sguardo sull’ansa del Piave:
chi vi intravedesse soltanto il corso di un fiume dimostrerebbe tutto il deficit umano dell’oblio.
Nemmeno l’espressione {razza Piave} si nutre di cerimonia o, peggio, si presta all’uso di parte.
Il Gran Borghese laico Bruno Visentini, che una volta scrisse sul Corriere un colto elzeviro in
dialetto trevigiano, ne ricostruisce così la nascita: {Il Piave diventa imponente nei momenti di piena e
con il suo largo letto dà il senso della forza. Per questo, oltre che per il carattere tenace e laborioso
delle popolazioni sulle due rive del fiume, e anche perché dopo la rotta di Caporetto esso divenne la
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di difesa dell’esercito italiano, i trevigiani amano spesso chiamarsi razza Piave}. I calciatori {rassa
Piave} erano la passione dell’Omero del Po, Gianni Brera, da lui pensati come un’area caratteriale del
pallone che dal Piave arrivava fino all’Isonzo. I {rassa Piave}, gli aveva raccontato un vecchio
allenatore trevigiano, {no tradisse mai}. Una nozione quasi materna di nerbo.
No, nessuna salmodia di circostanza. Qui, lungo il Piave e tra i sapori paesani della {razza Piave}, il
capo dello Stato incontra oggi l’anti-retorica, la nostra Storia.

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