2004 marzo 7 Italia unita e federale

2004 marzo 7- Italia unita e federale, difficile ma si può fare
Capisco benissimo Carlo Azeglio Ciampi che da tempo le prova tutte per suscitare tra gli italiani un po’
di spirito nazionale, capace di far apprezzare le differenze che passano tra patria e territorio, tra paese e
stato, tra un popolo e un assemblaggio di popolazioni. A questo pedagogico presidente della
Repubblica forse piacerebbe che si ricamasse sul nostro tricolore una scritta che qualche anno fa
appassionava i ragazzi delle T-shirt: ”Sono italiano, grazie a Dio”. Comprendo meno il capo dello Stato
quando, alla missione che si è dato per l’identità dell’Italia, aggiunge la preoccupazione di “mantenere
intatta l’unità della nostra patria”, come ha ripetuto due volte in settimana durante la visita in una
Lombardia che, beninteso, non ha niente a che vedere con la Lumbardia né con la sua mitologica
Padania fatta in casa Bossi. Se l’unità è un valore storico, e lo è, a me sembra che oggi sia il meno
minacciato, anzi il più scontato e condiviso in circolazione, probabilmente maggioritario addirittura fra
il milione e mezzo di elettori che votano Lega Nord. Da quando Umberto Bossi si mise in testa l’idea o,
meglio, la non-idea della secessione, l’unità d’Italia si è caso mai rafforzata, a partire dalla moneta.
L’Euro di Ciampi ha fatto a pezzi sul nascere proprio l’autosuggestione di fare a pezzi l’Italia
attraverso l’economia: un Nord benestante che ripudia il Bel Paese e se ne va; un Sud affaticato che sta
a guardare. Assieme alla lira, l’Euro ha messo fuori corso anche l’allucinazione della doppia moneta,
quella forte al Nord quella residuale al Sud. Amen. Si sta ristrutturando un’Europa di Stati, non di
patrie, nel nome di ingenti interessi in comune. E dal 2001 in poi il terrorismo nomade, che si sceglie i
bersagli dove e quando vuole, ha semmai dato più forza agli apparati statali. Si pensi solo ai controlli e
ai servizi di sicurezza, allo stesso tempo il massimo della centralizzazione e del coordinamento. In
questa fase si irrobustiscono dunque sia l’Europa che i suoi Stati membri, anche se per strade opposte.
All’interno, gli Stati sono chiamati ad esercitare la vecchia sovranità in modo molto più efficiente;
all’esterno, a cedere invece nuovi mattoni di sovranità per costruire un largo potere sopranazionale per
ora ai primi incerti passi. In parole povere, prima l’unità d’Italia era tutelata soltanto dallo Stato
italiano; adesso viene garantita anche dall’Ue che nel frattempo cammina sulle gambe degli Stati , fra
cui l’Italia paese fondatore quando la Padania era ancora un’espressione geografica del Touring Club e
la terragna ispirazione di Gianni Brera. Una ragione in più per concludere che oggi l’unità della patria
appare più che mai fuori discussione, come sa meglio di tutti lo stesso Bossi nonostante il suo ciclico
abbaiare alla luna di Pontida. Niente potrà minare la nostra integrità nazionale, tanto meno una
qualunque modica quantità di federalismo: fa lo stesso se di centro-sinistra (vedi il 2001) o di centro-
destra (vedi, forse, il 2006). Unità e federalismo sono due volti dello stesso Stato, non l’una il contrario
dell’altro e viceversa. Non per niente l’America si diede quel nome: ”United States”, Stati Uniti, la
fusione di unità e di stati, di autonomia e di interdipendenza, di locale e di federale. In un’Italia
nemmeno parente degli Usa il federalismo riorganizzerebbe l’unità cedendo poteri verso il basso, con
la titanica ambizione di potenziare sia la democrazia che la patria. Senza contare che il presunto, cauto,
prudente, cadenzato, timorato, avversato e/o super controllato federalismo a piccoli passi permesso
dagli attuali schieramenti muro a muro e dalle nostre procedure costituzionali sarà per definizione
destinato a modificare qua e là l’amministrazione, i poteri locali e i cittadini ma non a produrre
rivoluzioni. Anche dal punto di vista politico l’“unità della patria” sta in una botte di ferro, da D’Alema
a Berlusconi, da Rutelli a Fini. Mancano in Parlamento come tra gli italiani sia le intenzioni che i
numeri per un qualche federalismo anti-unitario, che renderebbe vincente soltanto Bossi. Nemmeno se
lo vedessi con i miei occhi potrei credere a un’Alleanza Nazionale complice di un federalismo che butti
il tricolore nel “cesso”, come intimò un ispirato Bossi a Venezia. Ma nemmeno a un Berlusconi
secessionista o quasi si potrebbe dare credito , contro i suoi stessi simboli di produzione: “Forza Italia”,

il partito personale con il colore azzurro della “Nazionale” di calcio. No. L’unità è tanto al sicuro che
dal federalismo non potrà che guadagnarci. Ciò che manca è l’unione; soffriamo di dis-unione
nazionale, un malessere politico che sperimentiamo giorno per giorno e che non sembra aver fine.
Diceva uno scrittore che la coscienza degli italiani è intensa ma individuale. Adesso è bipolare, ma fa
lo stesso. La regola è la dis-unione su tutto.
7 marzo 2004