2004 luglio 4 Saddam

2004 luglio 4

Ma conveniva davvero processare Saddam Hussein in diretta televisiva? No, é un lusso da pazzi che
l’Occidente si permette proprio mentre Bin Laden conferma una imminente ondata terroristica tanto
globale che ieri gli investigatori americani dell’Fbi l’hanno giudicata localizzabile soltanto con un
colpo di “immaginazione”. Nell’Europa sotto minaccia, l’Italia dichiara da sola 14 mila obbiettivi
sensibili.
E tuttavia l’Occidente era condannato a processare Saddam pubblicamente, cioè nella sterminata
piazza della mondovisione. Soprattutto una democrazia come quella americana, che dichiara di
voler esportare democrazia, deve un processo con le porte spalancate perfino a chi considera da più
di dieci anni l’”incarnazione del male”.
A costo di sembrare autolesioniste e stupide le democrazie applicano le proprie garanzie anche a un
nemico del tipo o vivo o morto e, quando non lo fanno, finiscono per torturare se stesse e per
scoraggiare la propria perfettibile imperfezione.Sintomatico che un uomo pragmatico come l’ex
segretario di Stato americano, Henry Kissinger, consigli agli Stati Uniti “umiltà”, strumento
autorevole in diplomazia e per nulla docile nemmeno di fronte alla tracotanza di un ex dittatore
iracheno di lungo corso.
Curiosamente il nome Saddam significa appunto “colui che fa fronte”, chi sa in ogni circostanza
fronteggiare gli eventi. A 67 anni compiuti da qualche mese, ora attende con consumata aggressività
il processo come criminale di guerra per sette imputazioni che vanno dall’assassinio al genocidio e
alle stragi.
Nonostante l’ inedita barba da attore e l’abbigliamento in stile italiano, Saddam resta sempre lo
stesso. Non si difende, morde, ferisce. Pur segnato, lo sguardo é belluino. Rifiuta sentenze; si
vendica rivendicando il potere e la presidenza che non ha più.
Ignora l’ipotesi stessa di colpa; ogni delitto fu a suo dire compiuto per il bene del popolo. Definisce
“cani” i kuwaitiani che fece invadere nel 1990 da centomila soldati iracheni con duemila carri
armati per cupidigia di potenza , per controllare il Golfo, per accumulare altro petrolio e per tagliare
fisicamente la gola alla famiglia Sabah, regnante da metà Settecento sull’emirato un po’ più piccolo
della Slovenia.
Viene da lontano la spietatezza di Saddam. Molto abile con la pistola, a 21 anni ammazza il
cognato, comunista, mostrando anche una precoce predilezione per l’omicidio politico. Le
biografie ne documentano in lungo e in largo la combinazione ieri di potere e di sfida, oggi di
impotenza e di apologia.
Non si é mai visto uno sconfitto che processi sé stesso. Senza contare che Saddam sarà pericoloso
anche in catene perché trova l’alleato ideale nella televisione. Di regola sono i vincitori a mettere i
vinti sul banco degli imputati; qui il vinto può giudicare i vincitori in un Iraq non ancora vinto né
vincitore o pacificato e da più di trent’anni privo di un’opinione pubblica come noi la intendiamo,
più allenata a difendersi dalla manipolazione.
Il mezzo televisivo predilige sempre il racconto, con l’effetto indesiderato di far coincidere spesso
la verità con la menzogna, l’immagine con il contenuto, l’abilità con la credibilità. Intervistato
nell’atmosfera di famiglia di un pomeriggio domenicale di Mamma Rai, anche un orrendo pluri-
omicida come Bilancia può farsi agnello e insinuare compassione mediatica.
Saddam é furbo, scaltro, cinico, doppio, triplo, ora vittima dell’America malvagia ora paladino e
raìs disarmato. Conosce bene i segreti della comunicazione di massa che, dopo mesi di latitanza e di
prigionia, gli offre la piena libertà di nobilitare come patriottica anche la sua politica a base di gas
nervino e di rinfacciare invece tutto ciò che imbarazza l’Occidente. Gli esperti hanno dimostrato
che, Urss a parte, furono gli aiuti di Francia, Stati Uniti, Germania, Gran Bretagna, Italia e Svizzera
a fare dell’Iraq di Saddam una grande potenza militare.
I tribunali della Storia fanno sempre storia a sé. Alla fine della seconda guerra mondiale, l’ideale
che guidò l’accusa al processo di Norimberga contro i gerarchi nazisti era contenuta in nove parole
dell’arringa:”Rendere gli uomini di Stato responsabili davanti alla legge.”

Il processo per tradimento a Galeazzo Ciano, genero del duce Mussolini, durò a Verona tre giorni;
al quarto, fu fucilato alla schiena. Il processo a Saddam sarà lungo, ambiguo, levantino, una mina
vagante in un mondo arabo ricco di energia e privo di democrazia, stretto tra lo “scontro di civiltà”
del terrorismo islamico e il bisogno di modernità. Ma sarà un processo giusto anche per Saddam
Hussein.
La democrazia é scomoda.