2004 luglio 13 Costretti al fai da te

2004 luglio 13 – Costretti al fai da te per continuare a prosperare

Da un telegiornale della Rai ho sentito ieri il seguente annuncio:”Il Nordest non esiste più.”
Pazienza, mi sono detto, vorrà dire che d’ora in avanti noi poveri abitanti di questa landa
abbandonata siamo ufficialmente profughi, nomadi, economicamente apolidi e senza fissa dimora
sociale. Scherzi a parte, il Nordest c’é, esiste nella sua eccezionale varietà, sta esattamente dove
stava, rappresenta un’area che prima ha fatto da laboratorio, poi i sacrosanti schèi e che adesso
deve rinnovare i traguardi. Ha faticato in passato, faticherà anche in futuro, ma sempre senza
spaventarsi troppo.
Lo storico Gaetano Salvemini, che non amava i sapientoni del suo tempo, accusava la filosofia di
trasformarsi in una “fabbrica del buio.” Ecco, il Nordest reale ha di bello che non produce buio ma
intatto “orgoglio imprenditoriale” , come certifica l’annuale Rapporto della omonima Fondazione.
Questo orgoglio dei medi e dei piccoli, ammette anzi il direttore Daniele Marini, “appare il carattere
principale cui aggrapparsi”, l’appiglio per reagire alle durezze di ogni trasformazione.
E’ una storia che invecchia con noi. Tutti intimano al Nordest di “fare sistema” ma tutti verificano
che “il sistema Paese” non funziona : ditemi voi come si fa in queste condizioni a restare per 30/40
anni sulla cresta dell’onda e del fatturato. Un rebus da settimana enigmistica; un controsenso che
spinge a dire un sacco di fesserie a carico del Nordest; un freno che segnaliamo da vent’anni con
scarso o nullo risultato.
Sicché le imprese devono spesso ricorrere a un nuovo “fai da te” per far fronte alla fulminea
internazionalizzazione dell’economia. Macché ambasciate, macché enti pubblici per l’export,
macché istituti per il commercio con l’estero: alla stragrande maggioranza degli imprenditori del
Nordest non passa nemmeno per l’anticamera del cervello l’idea di appoggiarsi alle tante
burocrazie, comprese quelle che infestano non di rado le associazioni di categoria. A malincuore,
troppo spesso sono costretti a fare sistema da soli nella concorrenza mondiale. Ciascuno deve
inventarsi una strada su misura del mercato, un’esperienza aziendale mai affrontata prima, una
cultura del rischio d’impresa a mezzadria tra l’Italia e la Cina! Il nuovo fai da te globale, appunto,
ieri per produrre in quantità oggi per competere in qualità.
Nemmeno nell’attuale congiuntura europea, la peggiore degli ultimi anni, questo Nordest si rintana
però in se stesso vivendo di ricordi e di velleità. Specialissima, speciale oppure ordinaria che sia la
loro autonomia, le tre regioni di riferimento stanno cercando motivazioni almeno più aggiornate.
Il Trentino, dove l’anno scorso l’industria ha tirato forte, progetta ora di diventare il “parco
tecnologico” del nord e fa della “responsabilità sociale” la bandiera dell’impresa. Governatore del
Friuli e della Venezia Giulia, Illy invita a cena 150 industriali italiani per dimostrare loro con dati
concreti che la frontiera orientale é e sarà sempre di più una grande pista di lancio economico dopo
essere stata lo storico tappo dell’Est. Lo stesso Galan dichiara in un incontro pubblico di non essere
“orgoglioso delle infrastrutture ma del Veneto primo nell’assistenza agli anziani.”
Il Nordest é sempre a caccia di buon ceto dirigente, come denuncia da un pezzo il prof. Diamanti, e
lamenta che il suo ceto politico abbia troppa politica in testa e troppo poco potere effettivo sul
territorio. Ma, federalismo o no, autonomia forte o debole che sia, forse si sta facendo finalmente
strada una mentalità meno ideologica e meno di appartenenza. Al di là degli schieramenti, sarà
quest’ultima la sola chiave per attivare più celermente progetti, integrazioni, sinergie, servizi
comuni, risorse pubbliche e private. In fondo, senza escluderne altre in formazione , il Nordest é già
un’Euroregione ad autonomia multipla e ricchissima di identità plurali, da Bolzano/Bozen bilingue
al Friuli tuttora insofferente della “capitale” Trieste.
A mio cauto parere, questo Rapporto 2004 della Fondazione Nordest ha il pregio della prudenza.
Offre cifre, percentuali, statistiche, rallentamenti, incognite e preoccupazioni, ma allo stesso tempo
mette in risalto punti di forza, di resistenza, di reazione. Evita la retorica passatista del Nordest dei

primati senza piombare nella opposta retorica del Nordest che non c’é più; abbandona la tentazione
del catastrofismo alla moda per riportare in primo piano l’analisi.
Le semplificazioni sono sempre una sciagura. Il Nordest non era l’altro ieri la California e non
risulta essere oggi una zona rurale bulgara.
Resta invece un avamposto del lavoro e dell’impresa che, nonostante le grane con l’Euro, crede
soprattutto nell’Europa. Ci sarà un perché. Perché, senza “sistema paese”, con governi
perennemente sotto verifica e con ceti regionali più che mai in formazione, il Nordest sente
l’Europa come il secondo “appiglio” da non mollare mai. L’orgoglio imprenditoriale e l’orizzonte
di lunga durata.
In attesa di fare sistema, scommetto tutto sul Nordest non sul suo requiem.