2004 luglio 11 Berlusconi

2004 luglio 11

Il peggio del peggio per chi come Berlusconi si presentò agli italiani all’insegna dell’antipolitica.
Questa é la sua Waterloo comunicativa; il suo snaturamento personale più duro da sopportare del
vecchio ribaltone di Bossi , più duro delle recenti elezioni e più resistente della vituperata ”Italia
degli sprechi e dei privilegi”.
Dai tempi della sua discesa in campo non poteva capitare a Silvio Berlusconi una serata più
indigesta di questa, destinata all’ora di cena a celebrare a Palazzo Chigi proprio i fasti di tutto ciò
che dieci anni fa il Cavaliere bollò per la prima volta come “teatrino” della politica. Di quel
teatrino, lo fulminò di rimando un Umberto Bossi allora in piena salute, Berlusconi é il
“capocomico”.
Ma erano altri tempi, altri faccia a faccia, altro sarcasmo, altri insulti mortali. Allora, nella sguarnita
prateria fra prima e seconda repubblica, Berlusconi riusciva a definirsi “unto del Signore”, a
confessare “un complesso napoleonico”, a dichiararsi l’incarnazione del “bene del Paese”, uno
“statista dilettante” ma l’ imprenditore da bilioni di dollari che avrebbe rigirato il decrepito Stato
italiano come un calzino.”Guardando in giro – concludeva tassativo– vedo che non c’é un governo
migliore. Ho un complesso di superiorità che devo frenare.”
Oggi, 11 luglio 2004, il presidente imprenditore e “operaio” assiste al suo vero fallimento , cioè al
ritorno della odiata politica così come l’aveva lasciata, negazione del berlusconismo. Questa sera,
sotto i suoi occhi invecchiati dalla crescente insofferenza, sfilano in alta uniforme l’immortale
verifica, il cosiddetto confronto, la presunta pari dignità, la mediazione degli interessi, i tre tavoli
del compromesso per quattro partiti, la trattativa a oltranza, un nebbioso cambiamento di rotta, il
lauto rimpasto di poltrone , la conta dei ministeri, la collegialità al ribasso dell’ognuno fa per sé:
soprattutto, il “biblico” coordinamento tra la politica sudista di Fini, la politica nordista della Lega e
la politica per la politica dell’Udc, il partito che fa rima con “dc”.
Il tutto fatalmente a spese di Forza Italia, alla quale non basta più neppure la candidatura di bandiera
del suo leader. Fatta a immagine e somiglianza del capo, FI si sta trasformando in un partito di
portavoce.
Il super vertice di questa maggioranza orizzontale, a corto di gerarchia, prevede in serata la
partecipazione di oltre quaranta persone!Tanta solennità di segreterie, correnti e alleati di facciata é
la sola che può ancora tenere faticosamente in sella il presidente del Consiglio, ma non ha niente a
che vedere con i programmi né tanto meno con il sogno italiano di Berlusconi : “Il mio miracolo –
ricordava a suo tempo – non é di aver inventato un’alleanza ma di aver messo insieme un
elettorato.”
Dopo le elezioni europee e a poche ore dall’adunata di maggioranza, Berlusconi scopre che il suo
sogno si mostra nudo, che il carisma gli gioca contro e che la “sua” coalizione pare uscita di peso
dalle pagine di un previdente manuale democristiano. Non a caso, il Cavaliere “vincente” sui media
ha perso nelle urne quasi quattro milioni di voti e, soprattutto, il ruolo di leader senza se senza ma.
Oggi i se e i ma degli alleati lo marcano stretto. Ciò che chiedono, lo pretendono per di più sotto
forma di ultimatum: Fini su Tremonti, la Lega sul Federalismo, l’Udc sulla fine della “monarchia”
interna del Cavaliere.
Siccome nessuno si fida dell’altro, Follini invia in extremis lettere ufficiali e la Lega chiede un patto
scritto. Carta canta, non si sa mai.
Non per niente, sono per primi gli alleati a trovare spiritoso questo centrodestra ex tutto d’un pezzo
che viveva di rendita sulle croniche divisioni del centrosinistra. Francesco Storace, della destra
sociale di Alleanza Nazionale, lo ridefinisce “il casino delle libertà” mentre Gianni De Michelis, ex
ministro degli Esteri socialista, considera il vertice di questa sera “una notte barocca”.
Sul tappeto ci sarebbe il fantomatico “cambio di linea” di Berlusconi, che già dieci anni fa giusti
annunciava una aliquota fiscale unica al 33 per cento. Ma comunque vada, resterà sullo sfondo il
“dopo Berlusconi “, materia in cui eccelle l’Udc di Casini e di Follini o, forse, di Follini e di Casini.

Silvio Berlusconi sta sulla difensiva, prigioniero della sua “squadra”. Lui che colmò in fretta e furia
il vuoto moderato subisce ora il ritorno della “grande casa dei democristiani”, dei centristi , dei
moderati nostalgici del sistema elettorale proporzionale, dei “neo-centristi” come li chiama inquieto
lo stesso Fassino, segretario dei Ds.
Pur mirando al dopo-Berlusconi, una nuova Dc a cavallo degli schieramenti, né di qua né di là,
destabilizzerebbe anche il primo partito dell’opposizione. L’”anomalia” Berlusconi e i “comunisti”
hanno per la prima volta qualcosa da temere in comune.
La Dc non c’é più ma si vede.