2004 gennaio 4 La TV

2004 gennaio 4

Non la legge che chiuse i casini del sesso né il referendum che introdusse il divorzio. Non é stata la
riforma elettorale maggioritaria e nemmeno il passaggio dalla lira all’euro. La novità che ha più
cambiato l’Italia dell’ultimo mezzo secolo é tecnologica e arrivò dall’America, con una telecamera
della General Electric che pesava ben sessanta chili e, di lì a poco, con un presentatore newyorkese
di nome Mike Bongiorno specialista in quiz. La prima tv nasceva per pochi intimi; lui l’avrebbe
presto portata a inauditi cinque milioni di telespettatori.
Il 3 gennaio del 1954, data di avvento della televisione in un Paese largamente agricolo in tempo di
pace e lungamente bombardato in tempo di guerra, introdusse tacitamente una seconda moderna
costituzione popolare. Se cinquant’anni dopo il maggior imprenditore televisivo privato é anche il
presidente del Consiglio in carica, qualcosa di importante deve essere capitato nella politica
nazionale oltre che nel costume di massa.
I primi televisori costavano 250 mila lire, l’equivalente di tre/quattro stipendi medi di allora. Gli
studiosi credevano poco o niente al nuovo strumento di comunicazione , legati com’erano alla
radio: conservatori e ciechi, secondo loro la parola rendeva superflua l’immagine.
Non comprendevano ciò che avrebbe subito capito perfino un mistico della politica come il sindaco
di Firenze Giorgio La Pira, cattolico in profumo di santità, sulla carta il meno interessato
all’apparenza. Proprio lui si lamentò una volta con la Rai perché una sua diapositiva in video non lo
rendeva così come avrebbe preteso.
Nella fase ancora sperimentale la tv aveva mandato in onda da Venezia la regata storica, mentre il
teatro esordì il primo giorno ufficiale di trasmissioni con una commedia di Carlo Goldoni. La
grande sacra rappresentazione della politica cominciò invece con le tribune elettorali, che fecero
sentire più vicini gli uomini politici anche se sarebbe sempre rimasto irrimediabilmente lontano il
“Palazzo” del potere della definizione di Pier Paolo Pasolini.
La ricerca del consenso creò in poco tempo i primi stili . Un canone oratorio passionale e populista
con il socialista Nenni. Algido con il repubblicano Ugo La Malfa. Discorsivo con il liberale
Malagodi. Rassicurante d’astuzia con il comunista Togliatti. Mimico con il socialdemocratico
Saragat. Sfidatore con il post-fascista missino Almirante. Pacato e fluviale con Aldo Moro, il
pensatore della Dc.
Mario Scelba, ex ministro democristiano degli Interni, ce l’aveva a morte sia con le pur caste
ballerine degli esordi sia con l’accesso dei comunisti alla propaganda via etere. Siamo riusciti –
protestava con il suo partito – a fare entrare Palmiro Togliatti nelle case degli italiani!
La tv fu tutto e di più. Soprattutto una rivoluzione: la casa come una piazza familiare, in cui
entravano senza bussare la realtà e la finzione del mondo, “Lascia o raddoppia?” a premi e lo
spartano telegiornale delle inaugurazioni ministeriali, dei nastri da tagliare, dei discorsi che
precedevano le notizie. Sicché la stessa partecipazione politica si doveva assimilare allo spettacolo
in bianco e nero secondo i comandamenti dei 18 pollici.
La politica guardata si avviava a battere ogni altra concorrenza di massa.
Le case erano abitate da famiglie numerose; non servivano incentivi governativi alla maternità né il
secondo figlio poteva drammaticamente sembrare, come ora, “un lusso estremo”. Era distante il
giorno in cui la televisione avrebbe accompagnato inedite solitudini domestiche.
Allora, ci si appostava in tinello o in cucina come al nostro bar, così vivendo in comunità la partita,
il comizio, il gioco o la pubblicità. Lo scrittore Italo Calvino ne temeva a lungo andare “l’idiozia”,
ma la prima tv socializzò un Paese che nelle campagne stava abbandonando i vecchi filò in stalla
della cultura contadina.
Il filò era in fondo una televisione patriarcale, che lasciava immaginare attraverso il dialetto. La
stessa distanza o quasi passa tra lo spot dei consumatori d’oggi e il “Carosello” dei primordiali
consigli per gli acquisti, che prese il via nel 1957 con quattro messaggi, della Shell, della Cynar,
della macchina da cucire Singer e della parigina Oréal. C’era pudore in quella pubblicità, prima
vera pubblicità moderna; creava suggestione ma in dose umane non satellitari.

Alla televisione di oggi si fatica a riconoscerne l’eredità. Non é più uno strumento, ma un fine.
Decide ogni anno di più il linguaggio, i gusti, le tendenze, i beni di consumo, gli effetti speciali
della violenza, la forma mentale dei bambini. Determina il tasso di banalità e di qualità, di volgarità
sociale oppure di ecumenismo papale. Ha fatto della privacy il primo palinsesto, un luogo dove
l’intimo raggiunge il massimo della notorietà.
Influenza il voto politico, soprattutto degli incerti perché il messaggio é sempre certo. Certo della
propria intrusione.
Una volta si diceva: io ho la televisione. Un giorno si dirà forse: io sono la televisione. Quel giorno
i padroni della tv saranno anche i nostri padroni.