2004 gennaio 26 Diamanti

2004 gennaio 26

Le mappe del prof. Ilvo Diamanti sono una moviola politica, lo strumento che cataloga ciò che
abbiamo visto scorrere sotto i nostri occhi soprattutto nell’ultimo ventennio ma senza riuscire a
fermare le immagini dunque il come , il dove e il perché dell’Italia a quattro colori, bianca, rossa,
verde e azzurra. Ciò che siamo stati , siamo e saremo, tra colori storici come il bianco dei moderati
e il rosso delle sinistre e colori di ultima generazione come il verde di Pontida e l’azzurro di Arcore
oltre al grigio dell’ultimo Fini.
Questa mappa/moviola sbroglia la matassa di tanti fili e, al rallentatore, li seleziona uno ad uno
dato che la politica italiana, a lungo statica e allergica alle riforme, ha intaccato almeno il suo
vocabolario. Abusa di parole travisate ( esempio: “federalismo”); dà significati nuovi a vecchie
definizioni ( esempio: “comunisti”); restaura termini addirittura consumati ( esempio:”verifica”)
oppure mitizza sostantivi spesso di facciata ( esempio:”cambiamento”).
E Silvio Berlusconi ha introdotto il bipolarismo fra l’altrui ”odio”e il suo ”amore”, fra i
“professionisti della politica” e il ceto emergente “in prestito alla politica”, tra “l’Italia che sogno”
e “l’Italia che mi rema contro”, tra chi ha “rubato” attraverso il potere e chi “lavorando” ne paga i
costi collettivi. Nel vocabolario aggiornato degli schieramenti , tale bipolarismo diventa sinonimo di
personalismo. L’Io vale tutto un programma.
Rimane troppo scarto tra le aspettative di ieri e il passaparola di oggi.
Isterica nel dire quanto pigra nel fare, la politica rincula troppe volte rispetto alle spinte di una
società mai come oggi sotto pressione per l’enormità degli orizzonti e delle interdipendenze: il
mondo globale, l’Euro più forte dell’Europa, un capitalismo caymano, la tecnologia sopranazionale,
il dollaro finto debole, la Cina in casa nostra, la de-localizzazione apolide dell’azienda di famiglia ,
il panico da terrorismo suicida, lo stato sociale vincolato ai patti e ai parametri di Bruxelles, le
pensioni sotto l’occhio del Fondo Monetario e della super Banca.
Se con i problemi viviamo scomodamente in uno sconfinato altrove, tanta parte del ceto politico
abita comodamente nel quotidiano cortile televisivo dove Bruno Vespa fa il Pera e il Casini di
complemento: dopo il Quirinale, Porta a Porta é la seconda istituzione. Mentre l’agenda degli
appuntamenti pare scolpita come le tavole di Mosè, la mappa del Palazzo – per usare il linguaggio
di Pier Paolo Pasolini – continua a restare opaca, confusa, stanziale, quasi che la transizione fosse
uno status permanente non un processo creativo.
Se non sbaglio il prof. Emilio Franzina deve aver recentemente osservato da storico che il grande
assente é oggi “il tempo”, nel senso che pur mutando tutto in fretta e furia mai nulla diventa
davvero stabile. Solo il 4% degli italiani si dichiara interessato alla ciàcola politica e 4 milioni di
elettori promettono di disertare il voto di giugno. Non a caso le urne ingannano, beffandosi dei
sondaggi.
Dieci anni fa, quando la gioiosa macchina elettorale della sinistra era data per ultra vincente, vinse
al primo colpo Berlusconi con un movimento che colmava un vuoto politico e che aveva appena
cento giorni di pubblicità. Nel 1996, quando Berlusconi considerò Prodi un innocuo pezzo
restaurato della prima repubblica democristiana, vinse Prodi. Nel 2001, dopo cinque anni di
governo del centrosinistra, l’elettorato ha premiato il centrodestra. Nel 2006, conclusi i cinque anni
di Berlusconi, chissà.
Non si é ancora rassodato il tempo della politica italiana, tanto che il prof. Diamanti confessa fin
d’ora che dovrà sfornare a lungo altre mappe. E’ giusto che lo studioso prenoti prudentemente
nuovi aggiornamenti sul perenne “Lavori in corso”.
Gli attuali schieramenti sono due assembramenti faccia a faccia dai quali emerge soltanto il leader.
Esisto dunque siamo, nel caso carismatico di Berlusconi. Siamo dunque esisto, nel caso politico di
Prodi.
I loro programmi restano tuttora al traino, medie ponderatamente ostili tra Bossi e Follini da un
lato; dall’altro tra Mastella e Cossutta. Programmi presunti, si direbbe, di un governo condannato a
emendarsi da solo e di opposizioni che si oppongono a se stesse.

Non a caso Ilvo Diamanti scava a fondo dentro l’idea forte di territorio. La fa diventare un concetto
basilare, meno effimero, anzi una categoria del pensiero politico senza la quale non si capirebbe
niente dell’Italia bianca e rossa di ieri, tanto meno del partito territoriale del Nord verde di Bossi e
nemmeno del “partito senza territorio” dell’Italia azzurra di Berlusconi.
Tuttavia, un territorio anche Berlusconi ce l’ha. A mio parere, é Forza Italia in sé. Il partito
anomalo é l’anomalo territorio di un leader anomalo.
Anche per questo Berlusconi si é in fondo condannato a impostare ogni campagna elettorale,
compresa quella già durissimamente in corso, come una battaglia di confine. Come la sua privata
linea del Piave, un aut aut simbolico, il presidenzialismo del dopo di me il diluvio , un vincere
plebiscitario o il tutto perdere in prima persona: un atto di fede per dirla con Baget Bozzo il prete
politologo devoto ad Arcore come a un santuario.
In realtà non é mai esistito il partito Forza Italia, la quale prevede adunate non congressi, tifosi non
simpatizzanti, fedeli al posto di iscritti, un capo non un segretario. Esiste piuttosto un poderoso
Forza Silvio, il partito al singolare, organizzato totalmente sul numero Uno.
Ma questa, oltre che una novità, é anche lo sbocco coerente della politica italiana, la più investita
dalla caduta del Muro comunista del 1989: l’azzurro (governativo) di Berlusconi e il verde
(protestatario) di Bossi fu la risposta allo sfascio e/o alla diaspora del bianco e del rosso di Dc e Pci,
figli del Muro. Il prof. Diamanti ricorda che dei 210 parlamentari eletti nel 2001 con Forza Italia, 46
provengono dalla sola Dc, tanti altri dal Psi, il pieno dell’ex pentapartito.
Il libro del sociologo vicentino analizza il Friuli-Venezia Giulia in quanto caso italiano,
emblematico per più di un motivo. Perché qui, come tipico a Nordest, la Dc era stata a lungo
garante sia del radicamento locale che del potere centrale, dell’autonomia regionale quanto del
partito nazionale. Perché, come in Veneto, qui si realizza da tempo la “coabitazione conflittuale” tra
Lega Nord e Forza Italia. Perché, soprattutto, la vittoria della strana coppia Illy-Cecotti dimostra nel
2003 come il territorio possa diventare una “trappola” tanto per il partito radicato della Lega quanto
per il cosiddetto partito del presidente, cioè Forza Italia.
Da Trieste a Udine, il centrodestra si rivela un disastro da trattato di scienze politiche. Con i
“federalisti” Bossi e Berlusconi che decidono tutto a Roma finendo per ottenere il nulla in Friuli.
Con mediazioni, plurime investiture e candidature centraliste che, ridicolizzando la speciale
autonomia, fanno impallidire anche il ricordo delle severe tessiture di un Comelli e persino degli
aggressivi compromessi di un Biasutti. Con una guerra interna per la Guerra che passerà agli annali
come la favola della rana imprudentemente gonfiata della favola di Esopo.
Identificato dal prof. Diamanti per “storicamente di centrodestra” e ”decisamente difficile per
qualsiasi candidato di centrosinistra”, il Friuli-Venezia Giulia é un doppio caso. Per il masochismo
del centrodestra ma soprattutto per Illy, secondo me il più atipico candidato di centrosinistra
d’Italia. Oramai é un marchio politico a sé, affidabile come il suo caffè. Evoca il girasole più che la
Margherita. Si distingue, e non solo per il rifiuto della cravatta. Ha la lista personale ma in
coalizione sintetizza ogni frammento di sinistra. E’ concreto; la mentalità da sindaco lo aiuta ad
allearsi con lo storico autonomismo friulano di un uomo altrettanto originale come Cecotti.
Rompe gli schemi, anche i suoi privati. Lui imprenditore liberal alleato di Rifondazione comunista,
lui valdese pressoché agnostico, lui che tiene relazioni d’ufficio con Haider e che giustifica la
discesa in campo di Silvio Berlusconi nel 1994 per i legittimi timori di persecuzione giudiziaria.
Ripudia tanti tabù.
Rompe, Illy. Con la piccola regione a doppia identità lavora a Nordest per la grande Euregione
dell’Est. Contro le vecchie noiose chiusure, cerca accordi con il Veneto di Galan, presidente tanto
azzurro da promettere:”Lo stesso giorno in cui Berlusconi lasciasse la politica, lascerei anch’io con
lui.” Nel suo saggio-guida d’Italia, Ilvo Diamanti non lo dice anche se forse lo pensa. Ma senza Illy
e Cecotti, i candidati meno convenzionali su piazza, il centrosinistra non avrebbe mai vinto
nemmeno con i graziosi errori di Berlusconi&Bossi.
Ha vinto la coppia sul territorio contro la strategia extra-territoriale. Il territorio, categoria chiave
del sociologo Diamanti, può essere un surplus o una trappola: il Friuli-Venezia Giulia insegna.