2004 gennaio 11 Il Nordest

2004 gennaio 11

Deve essere senz’altro colpa mia se non riesco a capire ciò che sento dire né ciò che leggo, o che
ascolto in tv sul Nordest. Non capisco perché oggi quest’area dovrebbe essere una valle dell’Eden,
cioè il nuovo giardino delle delizie della Bibbia, un eterno paradiso economico che proprio nel bel
mezzo del mondo globale riesce a vivere isolato dai problemi, zufolando beato dalla mattina alla
sera sui suoi successi di 40 anni, senza minimamente avvertire i rumori dell’incertezza generale del
mercato, dei consumatori e delle imprese.
Non se ne può più di certe caricature, un giorno il Nordest con i schèi anche nell’aorta e un giorno
povero in canna. Fino all’altro ieri “locomotiva” proiettata su almeno vent’anni di sviluppo e di
benessere; all’improvviso “modello” da buttare tra i rifiuti solidi del territorio. Una volta ottimista
nelle aspettative e nella piena occupazione ma subito dopo dato per angosciato dalle prospettive di
breve termine. Una volta dichiarato morto se le sue aziende non ricevono almeno ventimila
extracomunitari all’anno; adesso tutto o quasi identificato nella scarsa offerta di lavoro, nei
licenziamenti, nella cassa integrazione. Mai vista tanta instabilità nelle analisi, oramai vicine alla
durata di un oroscopo settimanale.
Proviamo almeno a tenere i piedi per terra, se non altro per legittima difesa contro le nevrosi di
giornata e per essere attrezzati contro le vere emergenze sociali. Anche perché, come ha insegnato il
filosofo Norberto Bobbio, “ la storia umana é ambigua.” Principio aureo da tener presente in ogni
settore.
Esiste tuttora il Nordest; non può esistere la valle dell’Eden, nemmeno a Nordest. Ma se qui diventa
utile ricordare le cose più banali e ovvie, vuol dire che qualche dato di fatto viene a turno
sottovalutato o, peggio, dimenticato nell’orgia dei luoghi comuni.
Ad esempio, il Nordest ha nell’export una voce importante, “strategica” dovrei dire per fare bella
figura, ma adesso fa molta più fatica a esportare con il dollaro sempre più debole e l’euro sempre
più forte.Il prof. Paolo Guerrieri, dell’università “La sapienza”, ha calcolato venerdì sul
“Messaggero” di Roma che l’incremento di valore della moneta europea rispetto alla statunitense é
stato del 15% negli ultimi quattro mesi e del 45% in due anni! E ieri le pagine di “Repubblica”
aggiornavano il quadro così:”Vola l’euro, nuovo record della moneta unica: 1,2867”.
I prodotti europei costano altrove un occhio della testa mentre quelli asiatici valgono ovunque una
pipa di tabacco. L’altra sera in tv ho sentito definire “zavorra” l’euro.
L’Europa é preoccupata, l’Asia euforica, gli Usa in boom. Ma il Nordest, fino a prova contraria, sta
in Europa non in Asia e condivide l’ambigua congiuntura del primato monetario che pesa sulla
concorrenza senza confini.
Nessuna area economica, per quanto di punta, é un’isola, e anzi risulta sempre più intrecciata
internazionalmente. L’altro ieri un gruppo londinese ha deciso in due e due quattro, senza perdere
tempo in spiegazioni, di chiudere a Rovereto un’impresa con 114 addetti che produce cinque
miliardi e mezzo di filtri per sigarette all’anno. Un bel giorno, suppongo, si apriranno e si
chiuderanno aziende via Internet o con un messaggio sul telefonino.
Paradossi a parte, il Nordest non si é affatto fermato e la sua rete diffusa é tutt’altro che obsoleta,
nonostante i due passaggi molto stretti e molto delicati di questi anni. Primo: il passaggio
generazionale, punto G del capitalismo familiare alle prese con l’avvento dei figli/nipoti e dei
manager. Secondo: il passaggio dalla produzione tutta in casa a quote di produzione all’estero. E’
un miracolo di bravura del Nordest che una ristrutturazione così profonda, sia dal punto di vista
umano che industriale, abbia finora saputo assorbire i contraccolpi più pericolosi.
Su tutto incombe naturalmente una certa visione del capitalismo. Diciamo la verità una volta per
tutte. A chi fa prevalere sempre e comunque il mito dei giganti planetari, delle multinazionali
apolidi, dell’impresa che sarebbe tale soltanto dai 500 dipendenti in su, é chiaro che la gran parte
del Nordest fa schifo. Secondo certi parametri dominanti, i 5 milioni di imprese italiane sono un
orrore economico di frantumazione mentre la piccolissima impresa incarna in sé il declino di fronte
al mondo dei grandi gruppi.

Personalmente, vedo altro.In prima pagina vedo Parmalat, il meglio della grande produzione
prostituito al peggio della grande finanza. Vedo il grande sistema bancario in servizio permanente
effettivo delle Parmalat e delle Cirio di turno. Vedo la grande industria perdere dal 2000 ad oggi,
come ha rimarcato l’ex ministro Bersani, centomila addetti, cioè il dieci per cento del totale.
E vedo il nostro Paese, a cominciare dal Nordest, tenere botta con i cinque milioni di imprese e con
i distretti, pur avendo sulle spalle molta burocrazia di Stato e poco governo. Questo si vede ad
occhio nudo.
Per questo non c’é un modello nuovo da inventare a Nordest. C’é una robusta cultura d’impresa da
favorire a tappeto con nuovi mezzi.