2004 febbraio 18 Villa Emo

2004 febbraio 18 Villa Emo

Fanzolo. C’è un discreto sole ma ho freddo lo stesso, così entro in un bar della piazza per prendermi
un latte caldo. Mi rivolgo a un po’ di persone; v’importa sinceramente di Villa Emo o no?
“Xe a nostra storia de paese”, ribatte affabile Remo il barbiere. “El simbolo de Fanzolo”, interviene
deciso Carlo, autista del consorzio per la raccolta differenziata dei rifiuti. E Paolo, un commerciante
di mezza età, scuote la testa:” E adesso a xe deventada na bruta storia.” Sento che, dopo qualche
secolo, una tradizione patrizia si é trasformata in orgoglio popolare.
Prezioso segno di cambiamento , proprio perché da un sentimento a lungo di élite nasce oggi una
sensibilità diffusa.Con Vittorio Veneto, Vedelago é il comune più esteso della provincia di Treviso
ed ha una popolosa frazione di 2500 abitanti come Fanzolo, cresciuta si può dire attorno alla sua
Villa.
Andrea di Pietro dalla Gondola, soprannominato Palladio in onore della dea greca protettrice della
casa, nei suoi quattro libri sull’architettura definiva questa Villa ”un tutt’uno piacevole”. Tutt’uno
perché tiene insieme piano nobile, barchesse e fattorie con la campagna veneta. La villa é
indissolubilmente architettura e natura, fabbrica agricola e luogo di vacanza, nasce nell’elegante
spirito del Rinascimento e per l’economia rurale del tempo.
E’ struttura e orizzonte. Se Palladio la chiama “un tutt’uno piacevole”, non potrà mai starci addosso
una cava. Solo i “mentecatti” non capirebbero questa elementare verità, scrive Leonardo Emo
Capodilista, Marco per gli amici e Conte Emo per la gente, in una lettera aperta inviata al giornale
dalla tenuta La Torrigiana di Sesto Fiorentino. E aggiunge:” Basta uno sguardo di un adolescente,
verso Villa Emo dalla strada Postumia, per capire che una immane buca prima e una discarica
qualsiasi poi sarebbero un atroce e clamoroso autogol.”
Ha ragione da vendere. Una cava farebbe del male perfino ai cavatori interessati, che
diffamerebbero per sempre sé stessi con un’aggressione mai così ravvicinata a un “simbolo” di
civiltà veneta, alla “nostra storia” come dicono bene al bar di Fanzolo. Remo Mosole deve averlo
compreso.
Il segreto delle ville venete, secondo Palladio, era la loro “utilità e consolazione”, l’utilità del
territorio e la consolazione della Bellezza. Lui era un genio che si preoccupava anche di scegliere
materiali da costruzione che facessero risparmiare parecchi soldi ai committenti. I soldi che non
bastano mai sono piuttosto quelli che servono al giorno d’oggi per mantenere vive opere come
questa di Fanzolo.
Le ville di Palladio sono mondi della cultura, non per nulla certificati nel mondo dell’Unesco. Lo
scrittore Guido Piovene le sente come un modello esistenziale e lo studioso Lionello Pupi come
ville umanistiche; il professor James Ackerman di Harvard le considera espressioni di una
razionalità tanto laica da sembrare protestante anche se Palladio costruiva ville in campagna e
chiese a Venezia. Un altro scrittore veneto, Gian Antonio Cibotto, osserva che la villa veneta era
“una forma di teatro”.
Che c’entra con tutto ciò una cava a un passo? Nulla, né esiste istituzione che possa permettersi di
distrarsi.
Pensando-Palladio, arrivo a destinazione; eccola là Villa Emo che riesce a scaldare anche il sole di
febbraio. Parcheggio la macchina davanti al cancello prendendomi un minuto per farmi l’occhio
all’armonia, il vero patrimonio che abbiamo perduto.
Il campanile suona mezzogiorno ed io, senza appuntamento, suono il campanello temendo che non
risponderà nessuno.La risposta é invece veloce e ospitale, di Caroline Emo moglie di Leonardo, alta
e bionda, dal tratto cordiale.
“Sono polverosa!” sorride venendo dalla barchessa verso il giardino avvolta da una lunghissima
sciarpa di lana che la protegge fino alle caviglie. Si dichiara “fanzolese”, visto che qui abita da 24
anni dopo aver vissuto per nove a Firenze, anche se é londinese per accento e classe.

E’ una donna abituata alle cose belle. Caroline Southam ha studiato danza dall’età di sei anni fino a
19 ed ha fatto parte del Royal Ballet. Nel 1968 andò per undici mesi in tournée in Europa con
Margot Fonteyn e Rudolf Nureev, i superlativi del palcoscenico.
Ha un ricordo che assomiglia tanto a una premonizione. A Londra, la sua scuola di danza stava in
un palazzo palladiano, con il porticato della più tipica struttura. Insomma, dal Palladio in
Inghilterra al Palladio a Fanzolo.
Salita la rampa che porta al piano nobile, prima di entrare ci giriamo per guardare laggiù,verso
l’accesso alberato antico tagliato dalla ferrovia occultata da una siepe. Se arrivasse la cava, sarebbe
visibile persino dal punto più essenziale della Villa oltre che giungendovi dalla Postumia.
“Una vergogna”, mormora la signora, “ la cava sarebbe una cosa pazzesca.” Qui non ci sono terreni,
ma più che altro parti integranti della Villa, i campi, il brolo. Caroline Emo usa un paradosso per
rendere meglio l’idea :”La villa é poca cosa e tanta la campagna.”
Suo marito, il Conte Emo, ne cedette una parte al Patriarcato di Venezia per sentirsi al riparo da,
sono parole sue, da azioni orrendamente speculative.” Anche per questo trovo incredibile che
proprio il Patriarcato abbia potuto rivendere senza escludere per contratto i progetti-cava. Il grande
narratore russo Cechov ne avrebbe ricavato una amara novella.
Ma é un problema per tutto il Veneto. 30/40 anni fa non si poteva pretendere che un terra di ex-
poveri, ex-emigranti, ex-contadini, ex-dipendenti, ex-tutto, si mettesse in proprio con la famiglia e
con il lavoro per raggiungere finalmente il benessere e i schèi ma pensando anche allo stile,
all’architettura intelligente, al prato inglese, all’equilibrio urbano oppure alla sublime cultura delle
4000 ville venete. No, forse era impossibile.
Adesso no, ora ogni alibi é svanito. Oggi, dopo i guasti, nessuno ha il diritto di chiamarsi fuori dalle
tutele, dal riuso, dal ricupero, dal rigore del nuovo e dall’amore del passato. Villa Emo e la cava
sono il simbolo di ciò che non più essere: non é un contenzioso tra una proprietà privata e i presunti
cavatori. E’ una battaglia della comunità in assemblea, dal barbiere ai Conti Emo.
La scorsa estate a Firenze si é spenta, la mamma di Leonardo e suocera di Caroline. Due giorni
prima di morire, chiese alla figlia:”Quand’é che potrò rivede il paesaggio che tanto amo?” Le
domandarono se intendesse i dintorni di Firenze, che ben conosceva. Ma lei rispose in inglese:”The
Veneto of course”, il Veneto ovviamente.
Quel Veneto, Fanzolo compreso, non può che essere la nostra quotidiana, attiva nostalgia. La cava
no.