2004 aprile 15 Ostaggio

2004 aprile 15

L’ 11 settembre, quando scoppiò la guerra mondiale del terrorismo islamico, ogni dettaglio apparve
coerente con il mondo globale. Era tutto grande, gigantesco, sconfinato, perfino impensabile,
l’America super potenza, New York antenna del futuro, le due Torri alte come le nuvole, il cuore
della finanza d’Occidente, tremila morti in un solo attentato eseguito con aerei passeggeri usati
come bombe umane contro i grattacieli della metropoli chiamata Grande Mela. Era tutto fuori della
nostra portata, il dove, il quanto, il come, il chi. Si poteva usare in questa occasione soltanto il
termine “megamorte” coniato anni prima da uno studioso americano di origine polacca (Z.
Brzezinski).
Megamorte si riferiva ai morti del ventesimo secolo: 80 milioni di soldati caduti nelle varie guerre;
87 milioni di civili ammazzati in nome di qualcosa, un’ideologia o una religione o un’etnia. In
totale, 167 milioni di vittime, la perdita del meglio della gioventù, di patrimoni d’intelligenza, di
forza vitale dei popoli. Nel secolo appena trascorso, la distruzione umana fu tale che, secondo i
parametri degli esperti militari, un conflitto diventava internazionalmente significativo soltanto se
superava la soglia dei diecimila morti.
Se non ne provocava tanti così, era una guerra modesta. E tante generazioni si sono esercitate a
dimenticare le più martoriate tra esse, guardando per reazione avanti, tirando dritto, oltre la trincea,
perché la memoria si limitasse ai tempi morti di un cerimoniale.Il mitizzato 2000 doveva
rappresentare anche questo: lasciare alle spalle il secolo più feroce della storia dell’uomo, il secolo
della tecnica che faceva progredire allo stesso tempo la morte e la vita secondo i grandi numeri. Il
secolo delle lapidi a ettari, delle fosse comuni e delle camere a gas.
Da tre anni la megamorte é tra noi anche in assenza di una guerra classica. Alla società di massa
corrisponde ora il terrorismo di massa. La megamorte tascabile, a migliaia di vittime come a New
York, a centinaia come a Madrid, a decine e decine come negli innumerevoli bersagli “sensibili”.
Ma Fabrizio Quattrocchi, l’ostaggio italiano, ha riportato il terrore alla persona, all’uomo,
all’individuo, alla creatura. Ci eravamo come abituati alle stragi, alla gente fatta a pezzi , alle salme
irriconoscibili e a volte alle impossibili sepolture. Avevamo perso di vista tutti i volti, dei mandanti
mimetizzati nella vita quotidiana, degli esecutori a faccia coperta, delle vittime sfigurate nel
mucchio.Ora la morte cieca ha scelto una carta d’identità da esibire come ultimo attestato di sé.
In Iraq, é toccato a un italiano smascherare la piena identità di questa terrorismo, ora stragista ora
omicida a sangue freddo. Sembrava nazista quando ha fatto inginocchiare Fabrizio Quattrocchi
davanti alla sua fossa di destinazione; sembrava la Ceka, la polizia politica sovietica, quando gli ha
sparato due colpi alla tempia; sembrava spietato come usa il terrore solo nelle guerre civili;
sembrava televisivo secondo le regole della pubblicità che piazza l’omicidio come una lavastoviglie
o una merendina per bambini.
Sembrava quello che é.Un fondamentalismo che ha per fondamento la vita ridotta a niente,
l’esistenza piegata a una guerra blasfema, nel nome di Dio. Un giorno Giovanni Spadolini, ex
presidente del Consiglio, laico e uomo di illuminata cultura, osservò di ritorno da un viaggio nel
mondo arabo che il Libro Verde di Khomeini ispirava i fondamentalisti islamici come una specie di
Mein Kampf di Hitler.
L’assassinio dell’ostaggio riporta le regole della pietà all’indietro. L’uso della televisione le sposta
in avanti dove tutto si tiene tecnologicamente, l’assassinio e la propaganda, l’intimidazione e la
politica, la paura e il narcisismo da kalasnikov.
La cassetta dell’esecuzione é stata consegnata a una tv araba. L’annuncio é stato dato da una tv
araba. La notizia ha raggiunto in Italia i familiari di Quattrocchi in diretta televisiva durante la
trasmissione Porta a Porta. Vita, angoscia, morte e dolore, tutto in televisione, dato che questo
terrorismo ha bisogno di finanziamenti, arruolamenti e armi quanto di comunicazione: è un
terrorismo senza frontiere e la televisione, appunto, non ne ha. Senza colpa, la tv é un mezzo fatto
su misura:”il video dell’orrore” é stata chiamato.

Ma é stato anche il video degli ultimi sguardi di Fabrizio Quattrocchi. Impotenti e fieri, prigionieri
eppure non sconfitti, senza speranza e tuttavia senza rassegnazione. Lui, il più debole, si é mostrato
il più forte.
Nei panni dell’Europa tragicamente opportunista e indecisa a tutto, prenderei quello sguardo come
lezione per una guerra che durerà a lungo e che farà molti morti. Il ‘900 ha sepolto tanti orrori, ma
non é finito.
Lo dicono gli occhi solitari di un italiano assassinato in Iraq.