2003 settembre 28 Un Bossi quasi doroteo

2003 settembre 28 – Un Bossi quasi doroteo
Per comodità si dice Lega, mentre si dovrebbe sempre usare il nome al completo, cioè “Lega Nord”, il
piccolo mondo ruggente del primo Umberto Bossi. Senza il marchio del Nord, la Lega non esisterebbe
nemmeno; il Nord è più che mai il suo solo spazio mentale oltre che residuale. Da tempo il Nord
dell’on. Bossi risulta anche più circoscritto, un po’ lumbard un po’ nordestino e ben poco d’altro in
giro. Essendosi data il Nord per territorio, la Lega era fin dalle origini negata a diventare un movimento
nazionale. Il resto si è alla lunga ridimensionato con il pendolo bossiano tra Lega di lotta e Lega di
governo, ora secessionista ora nei ministeri, alleata e/o alternativa, con i piedi dentro il sistema politico
anche se con le coccarde padane ben fuori del Palazzo. Storia vecchissima, ma con una piccola novità.
Bossi fa ora parte di un governo che ha promesso anche ciò che non poteva mantenere. Bossi è per di
più ministro per le Riforme, e le riforme avanzano – se lo fanno – a un chilometro all’ora. Una
produzione politica troppo bassa, soprattutto agli occhi del superstite popolo delle partite Iva produttive
del suo Nord. L’oggi di Bossi si mostra così opaco che il leader della Lega Nord ha assolutamente
bisogno di rinverdire almeno i triti e ritriti materiali polemici di ieri, a cominciare dai famigerati partiti
della prima repubblica (da “fucilare per fallimento del Paese”) e da Milano capitale o sede virtuosa del
futuro Senato (perché “Roma è irriformabile”). Per questo Bossi non ha programmi aggiornati; più che
altro sta maneggiando fossili di partiti oramai scomparsi e lancia proposte pur sapendole improponibili,
vedi Milano. La storia ben riletta sarebbe piena di città italiane potenzialmente capitali, da Napoli a
Milano e Torino. Venezia, Firenze e Genova erano Stati veri, potenze economiche indipendenti:
Venezia dominò a lungo i traffici commerciali del Mediterraneo. Ma sola città-capitale d’Italia è Roma,
stop, non vale nemmeno la pena di perdere tempo su un tema che non esiste. Non esisteva la secessione
possibile; non esiste a Milano una seconda Roma nel nome di una presunta Padania . Non esiste niente
di tutta questa faccenda inventata a tavolino. Se il ministro Bossi, a corredo di un federalismo realizzato
e diffuso, avesse ad esempio proposto che il ministero per le Attività produttive prendesse sede a
Milano, oppure a Napoli quello per il Turismo o a Venezia quello per l’Ambiente, pochi avrebbero
potuto rifiutare la discussione. Contro o a favore, e però se ne poteva parlare seriamente e
vigorosamente senza tam tam da foresta tribale. Il nemico istituzionale non è insomma la sua “Roma-
ladrona”, ma la burocratizzazione del Paese, la paura di scommettere sul territorio, il terrore verso
qualsiasi forma di modernizzazione. Senza banalmente dimenticare che a Milano o a Trieste si può
essere altrettanto centralisti che a Roma finché la cultura dello Stato non libererà le migliori energie
costituzionali delle autonomie locali. L’ex sindaco di Venezia Massimo Cacciari, siccome considerava
l’Ici una finta imposta comunale, la chiamava non a caso “Iri”, Imposta Romana sugli Immobili! Non
era padano Cacciari ma da amministratore municipale sapeva benissimo che non si migliora uno Stato
bolso come il nostro traslocandolo in nuove o pseudo capitali; serve ossigenarlo in profondità
attraverso la politica e la buona amministrazione, che della politica rappresenta il meglio. Il fatto è che
la politica è pressoché scomparsa dalla circolazione. La prima repubblica ne aveva fin troppa; alla
seconda manca anche il minimo indispensabile. Da qui uno smarrimento generale; la sensazione,
evidente nei sondaggi d’opinione, che il ceto politico stia sempre più dedicandosi a qualcos’altro
rispetto ai cosiddetti “problemi seri” del cittadino. Le ideologie sono crepate. I partiti non sono più
partiti politici di riferimento avendo troppo a lungo praticato la partitocrazia. Il bipolarismo ha chiarito
gli schieramenti, ma il berlusconismo ha generato soprattutto l’anti-berlusconismo, dunque uno
specchio deformante più che una stabile alternativa di programmi e di riforme. Indro Montanelli si
faceva anche una domanda più pesante: “È capace l’Italia di produrre una classe politica migliore?”,
era il dubbio del grande giornalista. Di sicuro oggi ha preso potere un suo genere nuovo che sembra

avere per modello un gigantesco Porta a Porta televisivo con, in aggiunta, una buona dose di Scherzi a
parte. Nella vecchia politica dominavano “ i discorsi” politicanti; adesso fanno testo le “battute” e i
“paradossi”. Anni fa lo scrittore Alberto Arbasino definì l’Italia “Un Paese senza”: era il 1990, una
profezia. Da qualche anno abbiamo una classe politica spiritosa, questo sì. E ieri un Umberto Bossi
quasi doroteo si è corretto spiegando che da fucilazione erano i “vecchi dc” di ieri non i “giovani dc” di
oggi: Buttiglione, Casini, Follini, Mastella, Rosy Bindi sarebbero tutti ragazzini di un’Italia senza età…
28 settembre 2003