2003 settembre 21 Cina

2003 Settembre 21 – Cina

L’editore del quotidiano americano New York Times chiese due anni fa al presidente cinese dove
potesse arrivare politicamente la Cina. Jiang Zemin, oggi settantasettenne, gli rispose che
introducendo la democrazia di tipo occidentale gli 1,26 miliardi di cinesi avrebbero ottenuto un solo
ma sicuro risultato:”Non avrebbero abbastanza da mangiare. Il risultato sarebbe una grande caos”,
rispose testualmente.
Che sfamare il Paese più popoloso del mondo sia per Pechino l’impresa numero uno lo ha ricordato
l’altro ieri su “Repubblica” Renata Pisu, che di Cina ne sa tanto. ”Quanto é ancora povera la Cina
delle campagne. – ha scritto la giornalista – Lì stentano la vita più di 700 milioni di persone.” Altre
fonti parlano di 600, mentre 200 milioni di contadini sono stati trasferiti nelle città industriali che
producono a tutto spiano.
Attenzione, quando si dice “campagne” si intende in ogni caso un milione di villaggi! Risulta tutto
iperbolico in questo Paese che é poco più della metà della Russia, un po’ più piccolo anche del
Canada ma più grande degli Stati Uniti.
La Cina mette le vertigini con i suoi numeri, non solo con i suoi prodotti a basso costo. In questi
ultimi tempi ne discutiamo tutti dalla mattina alla sera, economisti e artigiani, calzaturieri e distretti
produttivi del Nordest, al bar o negli uffici studi, ma chissà se siamo in grado di leggere qualcosa in
profondità dentro il kolossal cinese.
In un anno, nonostante il controllo della nascite, vengono al mondo 16 milioni di bambini, uno ogni
due secondi. Le biciclette sono 300 milioni e per usarle occorre la patente, tranne che per gli
stranieri; ma più di 200 milioni sono ormai i telefonini. Su uno dei suoi 50 mila fiumi, la Cina sta
costruendo una diga che annegherà 13 città e 1500 villaggi in un colpo solo creando un lago
artificiale lungo oltre 500 chilometri.
Non ci aiutano più i diari di Marco Polo, resta poco o nulla da scoprire. L’economia globale annulla
l’idea stessa di lontananza e vicinanza. Così oggi i cinesi sono nostri concorrenti diretti; Pechino é
appena dietro l’angolo: questa l’enorme rivoluzione che ha per protagonista un grande Paese, una
straordinaria civiltà.
Nel passato gli occidentali si erano abituati fin troppo bene con la Cina. Ancora nei primi anni del
‘900, quando la facevano da padroni nell’ex- Impero, gli europei esposero all’ingresso di un locale
di Shanghai il cartello: ”Vietato l’ingresso ai cani e ai cinesi”. Anche noi italiani avevamo fino
all’altro ieri le idee confuse, basti pensare a che cosa si insegnava nelle scuole medie italiane ancora
nel 1954.
In un testo di geografia di quell’anno, delle Edizioni scolastiche Mondadori, ho trovato scritto che
la razza bianca emerge per “la viva intelligenza” mentre la razza gialla “é dotata di media
intelligenza e capacità”. Barzellette da piangere.
Il tempo cinese si misura in dinastie. La Cina ha la prima dinastia regnante più di duemila anni
avanti Cristo; Confucio predica la sua filosofia cinque secoli prima di Cristo. Un mondo che viene
da lontanissimo ha via via sviluppato anche una portentosa vocazione per la scienza ; altro che
“media intelligenza” del cavolo. Del resto uno dei pensieri più tassativi dello stesso Mao intimava ai
cinesi: ”Siate scientifici!”
La Cina ha tenuto per buono questo pensiero tecnico buttando alle spalle, da almeno quindici anni,
tutto il resto, ideologia, libretto rosso, dogmi proletari e Lenin. Il primo a sintetizzare efficacemente
il cambiamento fu il politologo statunitense Edward N. Luttwak osservando che ormai i nipoti di
Mao “pensavano più a Gucci e Pucci che non a Marx ed Engels”.
E’ appunto questa Cina comunista di nome e capitalista di fatto che, dal Messico all’Italia, fa la
concorrenza al mondo con tutti i mezzi che ha anche se del capitalismo ha preso alla lettera soltanto
il massimo dei capitali, non ancora il minimo di regole nel lavoro. Ha copiato perfino la Coca Cola,
usando radici di peonia.
La Cina é potente da un pezzo; il suo sogno, dicono gli esperti di poteri mondiali, é di arrivare nei
prossimi decenni a un duopolio planetario con gli Stati Uniti. Ma soprattutto vuole fare Pil,

permutare bici con auto, incrementare il reddito pro-capite in dollari, in parole povere diventare
ricca.
La parola d’ordine risale a dieci anni fa giusti, quando il modernizzatore Deng Xiaoping decretò:
”Arricchirsi é glorioso”. Dopo tanta estesa miseria, anche il pratico Confucio avrebbe moralmente e
saggiamente approvato.
A mio parere, assistiamo a un formidabile fenomeno storico più che a un evento economico. O,
meglio, a un evento storico di vasto impatto economico di fronte al quale si é colti per lo più di
sorpresa.
Non si spiega altrimenti la confusa reazione che si registra in Italia tra gli imprenditori d’ogni
ordine e grado, a cominciare dal Nordest. C’é chi pretende dazi, controlli, embarghi, protezioni,
misure monetarie, garanzie sindacali, marchi tutelati, boicottaggi e sanzioni. Soprattutto buone
regole nella concorrenza.
E c’é invece chi investe a più non posso in Cina, delocalizza aziende in Cina, scommette a gioco
lungo sulla Cina, considera la Cina uno smisurato mercato nascente, un’occasione in più da sfruttare
alla svelta, un’opportunità del sotto costo del lavoro. I favorevoli ai dazi definiscono “illuministi
deficienti” i contrari; questi ultimi trattano i favorevoli da “sprovveduti”.
Ma la Cina é tutto questo, allo stesso tempo. Un concorrente de-regolato della produzione e un
mondo tutto nuovo con il quale fare affari.
Lo scorso maggio é stata anche un nostro prezioso alleato nella vertenza per difendere la
denominazione originale del prosciutto di San Daniele e della Grappa. Non sarà poi un caso che,
proprio mentre s’invoca da più parti una guerra commerciale dell’Europa contro Pechino, proprio
l’Europa abbia firmato giovedì scorso con la Cina l’accordo per “Galileo”, il più grande sistema
mondiale di localizzazione attraverso una rete di satelliti.
Il futuro é pieno di illeggibili ideogrammi cinesi. Il complicatissimo caso – Cina richiede cervello,
non bile.