2003 marzo 24 Agnelli

24 marzo 2003 – fischi durante il minuto di silenzio per Agnelli

Ma che Paese è mai il nostro? Me lo chiedo davvero di fronte a gente che non rispetta nemmeno
il minuto di silenzio per la morte di una persona. La persona in questione era Gianni Agnelli.
La Juventus ha due avversari ufficiali: il Torino e la Roma, il primo interno la seconda esterna,
l’uno tradizionale l’altra acquisita nel tempo. Capisco che, nel belluino fondamentalismo delle
curve, gli avversari possano essere assimilati negli stadi ai “nemici”. Passi pure, non appartengo
alla categoria dei razionalisti che immaginano i tifosi come tanti impassibili baccalà norvegesi.
E del resto il bipolarismo politico fa da pessima scuola anche al calcio. A volte, circolano più
violenza e meno fair play in Parlamento che negli stadi. Voglio solo dire che c’é poco da
scandalizzarsi con gli ultrà di turno, nelle tifoserie politiche come in quelle pallonare. La botte
dà il vino che ha.
Solo che dovrà pur sopravvivere da qualche parte una ultima nozione del limite, il senso umano
dell’invalicabile, la differenza che passa anche tra l’urlo e la canagliata. Mi spaventa il
teppismo dell’anima assai più della violenza muscolare: di questa si può guarire, di quello si
invecchia irrimediabilmente anche da giovanissimi.
Sul campo neutro di Piacenza, sabato gli ultrà romani hanno fischiato e insultato Agnelli
durante il minuto di silenzio. Ieri a Bologna, i colleghi del Torino hanno promosso la stessa vile
esibizione di coraggio.
Povera Italia. C’è gente che travisa anche i silenzi. Che aggredisce perfino il cordoglio. Che si
dimostra impermeabile al pensiero della morte, solo momento della vita capace di livellarci.
“’A livella”, la chiamava quel dolce principe napoletano dell’ironia che fu Totò.
Mi obbietterà qualcuno che questi ultrà rappresentano una infima minoranza. No, secondo me,
sono sempre troppi. Sempre troppi i violenti della domenica, sempre troppi gli ultrà dell’ultra
volgarità. Questi ultrà fanno torto anche ai divertenti ultrà che cantano in coro, si organizzano
pacificamente, portano colore e bandiere, boatos e campanile, un po’ come capita in Inghilterra
da quando il primo ministro Tony Blair ha raso al suolo gli hooligans.
Ero anch’io un ultrà da ragazzo,e forse sono rimasto pressappoco quello che ero. Per coerenza,
non posso avercela con il tifo, anche perché ho sempre pensato che siano di gran lunga
preferibili le passioni alla neutralità sotto vuoto spinto. Ho sempre sognato tuttavia la capacità
di conciliare il tifo con il fair play, come mi capitò di ammirare a Rio come a Stoccolma, a
Mosca come a Madrid, a Montevideo come a Città del Messico.
Ho apprezzato il quotidiano romano/romano “Il Messaggero” che ieri, nel commentare i cori
romanisti durante il minuto di silenzio per l’Avvocato, ha scritto ciò che doveva. Non era il
momento, non era il minuto: quello sarebbe stato invece il minuto da dedicare tutto al meglio di
se stessi. Da persone a persona.
Sarà casuale, ma è divertente che la Juve abbia cominciato a vincere la partita con un piccolo
capolavoro di Del Piero, quasi un colpo di elegante karatè nell’aria