2003 marzo 1 Venezia

2003 Marzo 1 – Venezia

Venezia/1

Venezia senza il Veneto sarebbe sempre Venezia; il Veneto senza Venezia sarebbe tutt’altro
Veneto. Sembra a volte che soltanto un ponte unisca la città alla regione, mitigando di poco la
separazione mentale tra la civiltà dell’acqua e quella della terra.
Ma conviene guardare più in profondità, come si deve sempre fare a Venezia, luogo costituito di
apparenza e di substrato. L’apparenza esibisce in superficie la meraviglia dell’architettura; il
substrato nasconde sott’acqua la meraviglia dell’ingegneria e dell’idraulica.
Le dighe mobili del Mose resteranno acquattate e non viste sul fondale per svelarsi 5/6 volte
all’anno contro le grandi acque alte. Saranno curiosamente coerenti con la città che è sempre stata
un gioco tra visto e non visto, tra sotto e sopra. Anfibia.
Anche il rapporto di Venezia con il Veneto sembra a volte sommerso. Per visualizzarlo basta invece
il disinquinamento.
L’ecosistema della laguna dipende da un bacino veneto scolante di 185.000 ettari! Vi sono implicati
cento comuni e le tre province di Venezia, Padova e Treviso.
Lo storico simbolo di tanta interdipendenza resta a mio parere il Canal Grande. Il quale, prima della
deviazione del fiume, era un ramo del Brenta. Un ombelico spostato, non reciso.
Venezia potrebbe separarsi dalla città di Mestre. Può benissimo essere immaginata come a sé stante
amministrativo rispetto all’intero Veneto, ma è anche vero che la potenza della Serenissima non fu
mai insulare: contava su un territorio di riferimento quanto su se stessa.
In uno dei suoi luminosi libri, Alvise Zorzi ricorda che gli Scaligeri di Verona usavano Venezia per
mettere al sicuro i loro capitali. Come portare i soldi in Svizzera.
E’ veneta la laguna veneziana. Il porto, l’aeroporto, la tangenziale dell’Est, il marchio culturale, le
sedi istituzionali, tutto provoca l’onda lunga veneta. E Venezia aiuta inoltre a spalmare sul Nordest i
suoi 13 milioni di turisti all’anno.
E’ una città di pochi e di tutti. Una capanna in prima fila all’hotel Excelsior o al Des Bains costa
14/15 milioni di lire per 100 giorni d’estate al Lido. Ma una mezza giornata di “presenza” mordi e
fuggi nella città più bella del mondo può valere una Coca Cola e un paio di panini.
Poco o nulla qui è locale. Tanto meno la salvezza di Venezia.

MERCOLEDI’ 26

Venezia/2

Non soltanto il Veneto; anche l’Italia risulta troppo piccola per Venezia. Il suo destino sconfina da
sempre.
Era novembre del 1966, pochi giorni dopo l’alluvione di Firenze e l’”aqua granda” di Venezia. Ted
Kennedy fratello minore di John ( già assassinato) e di Bob (presto assassinato), stava per recarsi
a portare il conforto dell’America a Firenze quando fu depistato a Venezia da una appassionata
telefonata di Teresa Foscolo Foscari. Nostra signora di Italia Nostra in laguna era riuscita a
intercettarlo in un aeroporto, non ricordo bene se tedesco o svizzero.
Il fatto è che, nella comunicazione di quei giorni, la catastrofe di Firenze aveva come oscurato il
dramma di Venezia. Si trattava di una lotta tra disastrati ma i veneziani ne soffrivano sentendosi per
la prima volta un po’ dimenticati, dalle telecamere e dal mondo.
Ricordo la foto sul Gazzettino. Avendo accanto a sé il sindaco Favaretto Fisca, che per riguardo a
lei teneva il cappello in mano nonostante la stagione, la contessa Foscari faceva strada a un
Kennedy in impermeabile chiaro sui grandi blocchi di pietra dei Murazzi, le settecentesche barriere
maltrattate dall’incuria e dall’alluvione.

Il messaggio urbi et orbi voleva essere chiaro e forte: Venezia non ha sofferto un’acqua alta un po’
più invadente del solito e morta là. Ha invece visto sconvolte, dal mare imbufalito da un vento di
scirocco a 100 chilometri all’ora, anche le antiche difese dei litorali.
Ted Kennedy aveva il cognome giusto per testimoniare l’ S.O.S internazionale di Venezia. Era il
1966. Se il prossimo fine marzo a Roma venisse dato il via libera alle 78 paratoie mobili del Mose,
l’opera meccanica di difesa sarebbe probabilmente conclusa nel 2011/2012.
Serenissima aspettativa.

GIOVEDI’ 27

Venezia/3

Da vent’anni il Consorzio d’imprese Venezia Nuova ha in concessione dallo Stato la salvaguardia
di Venezia.Lo fece tenacemente decollare Luigi Zanda; lo dirige l’ingegnere Giovanni Mazzacurati
che, a 70 anni, è come se avesse già vissuto tre vite, una per ciascuna bocca di porto da regolare con
il Mose.
All’anagrafe risulta pisano di nascita, ma è oramai veneziano quanto l’acqua alta anche se il padre è
di Piove di Sacco e la madre toscana. Ingegnere idraulico lui, il padre, il nonno: una famiglia
d’acqua la sua.
Alla fine dell’Ottocento, il nonno fermò una violenta rotta del Brenta. E il padre lo portò per la
prima volta in visita al mitico Magistrato delle acque quando aveva solo sette anni! Se non è
premonizione questa.
Un giorno ho chiesto all’ing. Mazzacurati se si sentisse tranquillo dopo tanti studi, tanta messa a
punto, tanto scontrarsi attorno al progetto del Mose. Modulo “sperimentale”, appunto.
“Sì , del tutto tranquillo”, mi rispose con pacatezza, senza increspare la superficie dei pensieri.
Spiega che lo rendono tranquillo l’intero scibile umano in materia, la mole del lavoro , le
simulazioni in scala 1 a 10 alla stazione sperimentale di Voltabarozzo, l’avallo dell’Europa, la
responsabilità a futura memoria verso Venezia. Rimarca che le dighe mobili “sono una soluzione
semplice ed efficiente”.
Oggi la tecnologia fa miracoli di manutenzione anche sott’acqua. Basti pensare, mi fa notare
l’ingegnere idraulico, alle piattaforme petrolifere.
Venezia ha sempre dovuto inventarsi la tecnologia della sopravvivenza perché è una città inventata
letteralmente da cima a fondo. Nella mia infinita pochezza tecnica, una mezza idea me la sono fatta
anch’io negli anni.
Questa: che in ogni caso il Mose non ostacolerebbe altri interventi e che , al contrario, senza il Mose
nessun altro intervento sarebbe risolutivo. A Venezia ogni scelta è sempre un aut aut, ma tocca
farla.