2003 maggio 19 Donne Anna Maria Mori

2003 maggio 19

LUNEDI’ 5

Donne

Anna Maria Mori, giornalista, scrittrice:
“Quello che quando cercavo lavoro mi telefonò e mi disse: “Io posso aiutarla, a condizione che…”
Quello famoso e potente che un giorno si complimentò con me:”Brava, hai fatto un bel lavoro”, e
mi mise tutt’e due le mani sul seno.
Quello, famoso e potente anche lui, un politico, che trovandosi nel mio stesso albergo per un
convegno, mi telefonò la sera in stanza dov’ero con mio marito, con il quale pure mi aveva vista, e
mi chiese:”Perché non scende un po’ in camera da me?”
Quello che “stai attenta, è un uomo pericoloso, pieno di donne, e poi non si capisce neanche che
mestiere fa”, ma era così divertente.
Quello che mi corteggiava insieme al suo fratello gemello.
Quello che un giorno, per strada, di sera, guardandomi in viso, mi ha finalmente regalato un:”Bella,
come sei bella”, senza aggiungere altro.”
(da “Lasciami stare”, editore Sperling & Kupfer)

MARTEDI’ 6

Affari

Dopo l’Irak il 40% degli americani cerca di sostituire i prodotti francesi. E se, ad esempio,
abbandonassero lo champagne per il prosecco superiore? Merci Chirac.

MERCOLEDI’ 7

Venezia

Fra qualche mese Venezia indirà il suo referendum n. 4 sullo stesso quesito del 1979, del 1989 e del
1994: andiamo avanti con la città unita o la separiamo in due Comuni, uno per la Città storica e uno
per Mestre? La prima volta fu un plebiscito unionista; l’ultima ancora una maggioranza, ma
soltanto del 55 per cento.
Se qui il referendum ritorna puntuale come l’acqua alta, qualche problema dovrà pur trascinarsi.
Escludo infatti che i veneziani/mestrini siano un’etnia geneticamente referendaria.
Il limite del referendum veneziano sta semmai nella totale indifferenza veneta che lo circonda.
Perfino a Chioggia, nonostante la stretta parentela, non gliene importa niente a nessuno.
I veneti sentono Venezia solo per simboli, choc o cartolina. Il Passante di Mestre da tracciare è il
passaggio del Mar Rosso euro-veneto. Il Mose è l’idraulica che ritorna padrona del destino fisico
della capitale veneta. La Laguna da proteggere è il dovere dell’homo sapiens veneto. La Marghera
da svelenire è la Vita Nova dell’industria nordestina. La Fenice da far cantare come prima è l’oblio
di un delitto tutto in famiglia. Molino Stucky tra fiamme e ricupero è l’ultima cartolina di una
Venezia ambivalente, sempre sospesa tra l’ipocondria (amministrativa) e l’enfasi (storica).
L’immaginario corrente è questo. Il referendum del Ponte della Libertà, o di qua o di là, unionista
e/o separatista tra Venezia e Mestre, appare invece una faccenda molto locale rispetto al Veneto.
Non che il messaggio sia debole o che manchi la comunicazione. Piuttosto, in Italia tutti i temi
istituzionali adesso battono in testa, per logoramento.

Eppure, il referendum veneziano propone una questione tutt’altro che fiacca . Anzi, un neonato
Comune di Mestre sarebbe la più grossa novità amministrativa veneta dopo la nascita della Regione
negli anni Settanta.
E non perché la città di terra sia per abitanti quasi tre volte la città d’acqua, ma perché nascerebbero
in parallelo due città specializzate. Con due autonome agende di governo municipale.
Una Venezia infinitamente più concentrata sul suo cantiere residenziale, culturale, ambientale e
protettivo.Una Mestre enormemente più responsabilizzata sul territorio veneto. Di questo si tratta.
Quasi trent’anni fa, scrivendo la prefazione di uno dei documentati libri di Sandro Meccoli, il
professor Bruno Visentini, illuminato separatista , raccomandava a tutti di non lasciarsi
imprigionare dalle “formule”. Questo referendum n. 4 rimette in discussione le vecchie formule,
appunto.
Alla fine ne uscirà o l’unità tradizionale, ma almeno più consapevole, oppure una ponderata
scommessa con la reciproca autonomia dei comuni di Venezia e di Mestre. Nulla avendo da
perdere, il Veneto non se ne cura.

GIOVEDI’ 8

Bossi 1998

“La Padania è entrata nella testa della gente.”

VENERDI’ 9

25 anni fa

Aldo Moro (1916 – 1978, statista democratico cristiano) rivolse subito una domanda ai brigatisti
rossi che lo interrogavano dopo il sequestro e prima di ucciderlo:” Ma perché avete sequestrato
proprio me che sono una persona mite, che ho sempre fatto da mediatore fra destra e sinistra?”

SABATO 10

Il genio

A Parigi e Londra espongono i suoi disegni e i suoi studi sul corpo umano. Il settimanale francese
“L’Express” gli dedica la copertina e un servizio di otto pagine dal titolo:” Tout ce que nous devons
à Léonard de Vinci”.
Tutto ciò che noi dobbiamo a Leonardo è pittura, architettura, urbanistica, medicina, aeronautica,
tecnologia. Più che un genio italiano dell’umanità, il genio.
“L’Express” lo presenta così:” Se si dovesse riassumere tutto il Rinascimento in una sola parola,
basterebbe dire: Leonardo. Nativo di Vinci, tranquillo paesino di collina tra Firenze e Pistoia. Un
uomo semplice, mancino, vegetariano, omosessuale, elevato al rango di genio universale per l’opera
davvero sbalorditiva che prefigura la nostra civiltà moderna”.
Sì, dobbiamo molto a Leonardo, figlio di un notaio. I francesi, sempre eccentrici, lo definiscono un
miscuglio unico tra il filosofo Aristotele, il romanziere Jules Verne e l’americano Philippe Starck,
il più grande designer del mondo. Niente male.
Ma perché Leonardo, a 500 anni di distanza, viene considerato così moderno? Soprattutto per lo
spirito che lo animava. Perché pensava libero, perché era creativo, perché ricercava, perché riusciva
a mettere in pratica la conoscenza.
Leonardo stava genialmente sui fatti. La vita lo ispirava e lui la reinventava.

Aveva 26 anni quando, fallita una congiura contro Lorenzo il Magnifico, andò in piazza della
Signoria a Firenze per ritrarre per filo e per segno l’impiccagione dell’Arcivescovo che l’aveva
ispirata. Anche un corpo pendente nel vuoto sarebbe servito alle sue tavole anatomiche.
Una volta ho letto da qualche parte che, secondo una definizione ebraica, l’uomo è un dio mortale
in terra mentre Dio è un uomo immortale in cielo. Anche Leonardo da Vinci si dimostra uomo
immortale, ma in terra.

DOMENICA 11

La taglia

Nel tentativo di identificare il difficilmente identificabile “Unabomber” ( definizione senza senso
per il perfido bombarolo del Nordest ma che almeno semplifica il linguaggio giornalistico), c’è chi
propone una taglia. Lo fece per primo l’imprenditore Giorgio Panto.
Tot informazioni utili, tot schèi. E’ un’arma impropria, un incentivo che fa i conti soltanto con la
realtà. I Paesi pragmatici vanno al sodo e, pur di liberare le loro popolazioni da un incubo, ricorrono
anche a uno strumento pubblico, quantificato e trasparente come la taglia dei film western.
Lo Stato italiano paga da anni e anni migliaia e migliaia di pentiti, confidenti, informatori. Il più
delle volte è gente che te la raccomando ma, siccome utile ai fini della lotta alla criminalità, viene
ricompensata con un baratto. I soli collaboratori di giustizia sono costati 200 miliardi all’anno.
Cambia poco o nulla con la taglia. A mio parere, non è questione di moralità né di civiltà giuridica
ma semplicemente di risultati: il fine giustifica ampiamente i mezzi. E’ solo un mezzo in più, che
non esclude affatto la collaborazione più spontanea e disinteressata.
L’uomo è fatto più di fango che di candida neve; sa leggere i Pensieri di Pascal ma anche le cifre in
euro. La sicurezza è una guerra quotidiana, che si combatte soprattutto con le informazioni, non a
caso chiamate in inglese “intelligence”, come intelligenza.
Non scandalizza la taglia. Preoccupa soltanto quel tale da 10 anni senza faccia.

——-(citazione a parte)

Walter Chiari, 1924-1991, attore veronese, da “Il sarchiapone”, Mondadori.
“Parlare, a me piace parlare, guardare in faccia chi mi ascolta, scoprire nel suo sguardo la simpatia;
parlare, vedere, ascoltare. Sì, anche ascoltare. Ascoltare chi? La mia voce, perbacco. Non sono mica
un fenomeno, io; perché dovrei ascoltare quello che dicono gli altri, cosa me ne importa? Sono un
italiano normale,io. Democratico costituzionale; e la Costituzione dice che tutti hanno il diritto di
esprimere le proprie opinioni ma non dice che tutti hanno il dovere di ascoltare quelle degli altri. E’
una Costituzione beneducata la nostra: non ascoltare mai i discorsi degli altri, non sta bene. E noi,
che siamo un popolo educatissimo, non li ascoltiamo.”