2003 gennaio 20 Valentino Rossi

2003 gennaio 20 – Valentino rossi

………..presto, come Rossi, e chi non la raggiunge mai, come Maradona. Un Maradona maturo
avrebbe fatto meglio perfino di Pelè ; un Valentino maturo non si sa nemmeno dove possa
arrivare.
Giovane com’è, non ci sarebbe da meravigliarsi se presto piombasse tra i rally o in formula
uno, anche perché lui è in fondo una Ferrari in carne e ossa, altrettanto vincente. Motore due
tempi o quattro tempi, monta sull’Honda ed è primo, il solo “Fenomeno” in circolazione dopo
la diserzione di Ronaldo.
In Brasile, appena tolto il casco, Valentino ha usato un’espressione finora sconosciuta a
proposito dei suoi fans: ”Tifano in me.” E’ una formula quasi religiosa quell’”in me”, ai confini
della devozione, una specie di Credo del tifo pagano.
Gli deve essere venuta sulla labbra così, senza pensarci; ciò non toglie che confessi una cosa
molto vera. La fede “in” Valentino è speciale perché tiene insieme una sacco di materiali
umani, non soltanto la bravura.
E’ ragazzo e asso; un bel giamburrasca e un gran professionista. Parla con l’accento paesano di
Tavullia, nel pesarese, ma bazzica Londra con la stessa disinvoltura. Spara battute da bar e, un
minuto dopo, mette in riga gli sponsor da milioni di euro al colpo.
Che tipo, Valentino. I suoi amici di pubertà lo seguono come una “tribù” di sbandati si
accoderebbe a un capitano di ventura: per far meglio casino, a Rio lo hanno festeggiato
indossando maglie e mutande della Nazionale pentacampione e verdeoro. E tuttavia Valentino è
più giapponese dei giapponesi per perfezionismo e concentrazione.
Andate a chiederlo ai box e sentirete. Anzi, in questo assomiglia a quel trappista dei motori che
è Schumacher. Dicono che Valentino tiri notte con i meccanici se c’è da limare anche un solo
centesimo di messa a punto della moto, esattamente come fa il tedesco a Maranello.
E’ una maturazione che gli si legge in pista e in faccia. In pista, basti vedere come ha imparato
a domare anche la pioggia. In faccia, mostrandosi meno goliarda e più uomo come assicura la
sua mamma.
Qualcuno dirà che con Valentino si esagera in complimenti omerici. Per ciò che mi riguarda,
accetto volentieri il rilievo: ebbene sì, forse esagero anch’io, ma a ragion veduta. Il fatto è che
più vedo il calcio più provo gusto quando si fanno onore i campioni italiani, i talenti italiani,
l’estro italiano, i nostri prodotti del vivaio, le nostre vendemmie sportive ovunque si
manifestino, da Paolo Maldini anni 34 o Dario Hubner anni 35 a Valentino Rossi che di anni ne
ha più di dieci in meno.
Non è neo-provincialismo questo. Piuttosto, é resistenza ai luoghi comuni e alle comode mode,
secondo le quali lo stesso gesto atletico vale 10 se firmato da un Batistuta ma soltanto 7 se
eseguito da un Del Vecchio: un vizio che colpisce prima di tutti noi scrivani della domenica.
A scanso di equivoci aggiungo subito che gli stranieri bravi sono una ricchezza irrinunciabile,
a cominciare dal calcio che hanno contribuito a sbrocchizzare a colpi di classe: personalmente
li ho sempre stimati e spesso amati. Davanti allo stadio di San Siro, ad esempio, nei panni di
Berlusconi e di Moratti farei addirittura erigere un monumento per ricordare le meraviglie e le
lezioni che la legione straniera del football ha regalato in mezzo secolo al pubblico italiano,
dagli Schiaffino e Suarez ai Crespo e Rivaldo.
Con tutto il rispetto e la gratitudine per loro c’è però bisogno di un po’ di sano nazionalismo,
che definirei così: un occhio più allenato a riconoscere senza complessi la nostra scuola,
compreso il Piacenza! Se in coppa Crespo inventa in acrobazia un gol da Enciclopedia

Britannica, meritano la stessissima citazione estetica la volée di Vieri o il tocco di Del Piero che
ieri ha segnato avvolgendo, con il destro, zucchero filato.
A naso, noto un campionato più decente rispetto al nulla del precedente. Solo gli schemi
dell’Inter sembrano per ora gli stessi, da terzo posto.