2003 febbraio 17 Donne. Ovidie

2003 febbraio 17

DOMENICA 9

Donne

Ovidie, 22 anni, pornostar francese: “E’ bello essere una baldracca, una zoccola, una lesbica.” (da “
L’Espresso”)
Gina Lollobrigida, 75 anni, attrice:” Non mi sono mai spogliata, non ho mai fatto foto
particolarmente osé. E non per una questione moralistica, ma per pudore.” (da “L’Europeo”)

LUNEDI’ 10

Le bombe

Non possiamo cadere dalle nuvole. Il Veneto ne ha avuta fin troppa di violenza politica. Perfino
Piazza Fontana a Milano sembra essere stata una nera succursale veneta.
Tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli Ottanta, il terrorismo è stato di casa a Nordest. Ogni
terrorismo, rosso e nero, anarcoide o ideologico, di bomba e di arma da fuoco, senza volto o siglato,
omicida se non stragista.
Tutto, dalla A alla Z dell’odio. Un odio di parole in ciclostile e di imboscate, senza nemmeno le
utopie del Male.
Fu scuola trasversale di estremismo accademico, operaio e borghese. Con i suoi bravi cattivi
maestri, da Trento a Padova.
Il Veneto era a pieno titolo parte di una violenza italiana, ma l’accompagnava con materiali propri.
Di una terra di strappi e di fratture nel fare a pezzi il mondo rurale. In termini sociali, era in fondo
“estremo” anche l’incontro così tumultuoso tra la cultura frazionata dei campi e la cultura diffusa
dei capannoni, tra la secolare modernità europea e il piccolo mondo antico provinciale.
Ricordiamo troppo poco quegli anni. Chi li ha vissuti, perché ne ha avuto abbastanza. Chi era
troppo giovane o non era ancora nato, perché radicalmente disinformato.
Rispetto ad allora niente è più uguale oggi, tranne le ombre. Ma si aggira un nuovo volontariato
della violenza, le cui bombe esplodono e tacciono.
Nessuno le rivendica né pare interessato a motivarle. Dunque, sono bombe stupide o perfide.
Nel primo caso, tacciono non avendo nulla da dire. Potrebbero anche uccidere senza spiegazioni,
per gusto del caotico.
Ma potrebbero rinunciare a spiegarsi per calcolo, essendo proprio l’insicurezza il loro bersaglio.
Quando tutte le piste restano ugualmente aperte e oscure, il sospetto si fa generalizzato quanto la
paura.
Forse è questo l’obbiettivo. Lasciar pensare qualsiasi cosa.
Le ultime bombe sono andate in chiesa, provocando rovina e silenzio. Anche le campane tacciono,
ha mormorato una donna intervistata dalla Rai.
Un pessimo silenzio, inedito. Dov’era il silenzio del raccoglimento, è adesso il silenzio della
religione aggredita per secondi fini.
Se le bombe cercano le chiese, significa che circola un germe nuovo nel Veneto ex “Veneto
bianco”, cattolico, apostolico e romano. Che tra le ipotesi della prima ora ci fosse anche una “pista
islamica”, vuol dire che viviamo già un altro mondo, impensabile fino all’altro giorno, che intorbida
i moventi.
Sia chiaro. Senza indizi né tanto meno prove, ogni tesi sulle bombe è terrorismo verbale e basta.
Ma, bombe o no, noi capiamo benissimo che nel gioco delle ombre cattoliche e islamiche anche i
nostri pensieri liberali rischiano di perdere luce.

Lasciamo pur da parte ogni attentato e veniamo al dunque : essere razionali oggi è diventato più
difficile. Più necessario e più difficile per tutti, a cominciare da noi ma compresi gli immigrati di
fede islamica .
L’ 11 settembre c’è stato, altroché. Si diceva che niente sarebbe stato come prima, ed è la pura e
semplice verità che soltanto gli ipocriti possono negare.
Ovunque, non soltanto in Italia, si sono come indurite tutte le distinzioni. Tra emigrazione regolare
e clandestina, tra diritti e doveri, tra sicurezza e illegalità, tra lavoro e sfruttamento, tra tolleranza e
ostilità, tra solidarietà e lassismo, tra piena libertà religiosa e fondamentalismo.
Dovrebbe essere l’Islam maggioritario a sconfessare e a isolare per primo il fondamentalismo
islamico. Ha un nemico, ma dovrebbe chiamarlo per nome. Nemico.
Finora non lo ha fatto con la dovuta chiarezza. Anche per questo finiremo per pensare di primo
acchito a una “pista islamica” anche se scoppierà una lampadina in casa.

MARTEDI’ 11

Paolini

Quando recitò “Il Milione” a Trieste, ci fu l’”invasione di palco” per Marco Paolini. Nel salire su
per dirgli bravo, c’erano anziane signore che facevano i complimenti anche “alla mamma e al
papà”. Lui, bellunese, prendeva nota con veneziana maraveja.
Il Milione è il viaggio. Il Milione è Marco Polo, che un giorno fu chiamato messer Marco Milioni a
forza di sentirgli ricordare, di ritorno dell’Oriente estremo, i milioni e milioni d’oro che facevano la
grandezza anche finanziaria del Gran Can.
Paolini recita in apnea. E’ un attore che s’immerge nel Veneto e trattiene il respiro finchè non ha
raggiunto il fondo delle cose da raccontare. Marco Poco parte da Venezia; il Milione di Paolini
viaggia dentro Venezia, svela il noto con tanta originalità da farcelo sembrare ignoto dentro.
“Impre-ssio-nante”, direbbe l’attore strascicando la voce. Uno stupore parente stretto di “fataità”.
Paolini incontra tutta Venezia, che ama tutta. La laguna, la città dove “ i leoni volano e i colombi
camminano”, le terre ferme.
A volte vede “una Pompei vivente”. Altre un paradiso di “commercialisti”. Un luogo “viziato”.
Oppure “san Marco chiesa pirata”, fatta nei secoli di tanti apporti/asporti mediterranei. Allora,
allude Paolini, bastava che Venezia tendesse l’orecchio per sentire il muezzin dall’altra parte del
mare nostro.
La sua Venezia sorride e immalinconisce. Ironica e tenera. Avvelenata e viva. Abusiva e
istituzionale. Di maree e di scoasse, di progetti e di elegiache secche.
Nel suo dialetto si specchia anche il policentrismo del Veneto. Portando il Milione a Schio, una
sera Paolini dice “vovi”. Voce dalla platea: cossa xei? Per dire uova, a Schio si sarebbe fatto
preferire “uvi”.
Il teatro di Marco Paolini non fa mai teatro. E’ noi. Nel bene e nei rimorsi sempre noi è, nostro
piccolo Omero tascabile.

MERCOLEDI’ 12

Van Gogh

Ho ammirato Van Gogh a Treviso. Dicono che Casa dei Carraresi sia troppo piccola per una mostra
troppo grande. E’ vero, ma al trentesimo capolavoro impressionista mi sono sentito solo. Intorno a
me non vedevo più nessuno. Solo spazio.

GIOVEDI’ 13

L’amore/1

Rispondendo a una lettrice del “Venerdì”, Natalia Aspesi ha chiarito:”Capisco cosa vuole dire
quando scrive che è possibile una passione senza fisicità: ma credo che solo i santi o persone molto
forti, o chi vive di sole chat, possa permettersela.”

VENERDI’ 14

L’amore/2

Il giovane chiese al vecchio: hai paura di morire?
“Sì – gli rispose – perché mi sono abituato a vivere.”
E tu hai paura di vivere?, domandò il vecchio al giovane.
“No, quando amo.”
Ma se finirai di amare?
“ Mi abituerei a morire.”

SABATO 15

La televisione

Sulla televisione era praticamente impossibile dire qualcosa di nuovo. E invece la novità c’è ed è
davvero gustosa.
Il direttore generale della Rai ha detto no alla ripresa diretta della marcia della pace di Roma. Si può
confutare questa scelta , ma era nei poteri del direttore.
Rivoluzionaria è la motivazione del no. Per non esercitare , ha spiegato, “una pressione indebita sui
politici.”
Questa è grande. Si sapeva che la tv fa pressione sulla pubblica opinione, sugli elettori, sui
consumatori.
E si sapeva benissimo che sono i politici a brigare dalla mattina alla sera per utilizzare la televisione
come fabbrica del consenso politico di massa. Sarà sempre così, nella democrazia
dell’informazione.
Ma è la prima volta che la tv protegge i politici da se stessi. Cioè dalla tv.

DOMENICA 16

La pecora

E’ morta Dolly. E allora? Non sapevo che le pecore clonate fossero immortali.

———- (citazione a parte)

Ferdinando Camon da “Occidente.”, Garzanti.
“Noi viviamo in un’epoca in cui il giornale val più di chi lo compra, la notizia vale più delle vittime
che racconta: pur di occupare spazio in quel giornale, pur di dare occasione a quella notizia, ci sono

in ogni città d’Europa gruppi disposti a uccidere a caso: più è casuale, più il delitto è efficace. Non
serve più che il re, il presidente, il ministro si sentano insicuri: occorre che si senta insicuro l’uomo
qualunque, la donna in casa, l’insegnante a scuola, il viaggiatore in treno, il vecchio sulla soglia, la
folla in piazza, il pubblico al cinema. Poiché il potere non è più nel re, nel presidente, nel ministro:
il potere è nella folla, e per spingere la folla nella direzione voluta nessun’arma è migliore del
panico, e il panico si diffonde coi giornali, e lo spazio sui giornali si ottiene con l’attentato o la
strage:”