2003 dicembre 8 Juve

2003 dicembre 8 – Ferrari e Rossi

Missione compiuta a 300 all’ora con Ferrari, Schumacher e Valentino Rossi che hanno vinto
tutto ciò che dovevano e potevano. A volte anche i numeri nudi e crudi sono belli come un
mazzo di rose Vivaldi.
La scuderia di Maranello si é presa il quinto titolo mondiale consecutivo dei costruttori;
Schumacher il sesto dei piloti di Formula 1 (due titoli con la trevigiana Benetton, che lo lanciò,
quattro con la Ferrari); Rossi il quinto in moto (due con la veneziana Aprilia, che lo lanciò nella
125 e nella 250, tre con la giapponese Honda sia nella 500 che in Gp1, il massimo). Totale
sedici vittorie planetarie!
A questo punto non resterebbe nemmeno una sillaba da aggiungere, se non fosse per un grumo
di monosillabi, emozioni, rimandi, soprapensieri, stupori e anche noie da assuefazione.In fondo
i filosofi contemporanei , come fa un americano sul settimanale Espresso, considerano l’uomo
d’oggi un mero “ufficio postale” di informazioni che vanno e vengono. Proprio come noi
stravaccati spettatori di sofà, uffici postali dello sport tele-dipendente.
Altri tempi, post-romantici. Da pilota rischiatutto dell’Alfa Romeo, Enzo Ferrari era chiamato
dagli amici “il matto”. Il suo cavallino rampante nero era stato il portafortuna di Francesco
Baracca, l’aviatore simbolo della spericolatezza. E quando decise di costruirsi in casa la sua
macchina, cioè la Ferrari, lasciò che nei primi fabbricati di Maranello i partigiani producessero
di nascosto i chiodi a tre punte micidiali per le gomme dei camion delle SS tedesche.
Maranello nacque in tempi pericolosissimi, come testimonia un delizioso diario curato dal
giornalista Stefano Ferrari. Oggi gli unici rischi che corre vengono dall’asse tra il meglio dei
telai inglesi, Williams e McLaren, e il meglio dei motori tedeschi, Bmw e Mercedes, eppure
non c’é verso. Da cinque anni agli anglosassoni restano soltanto fastidiosi detriti sulla visiera.
La rossa mette in fila i giganti europei.
Radicalmente post-romantica, la Ferrari che da anni e anni non scende più dal podio é un
aggregato di saperi tecnologici. Una squadra poliglotta, di cultura innovativa e di materiali
globali. Con in aggiunta un piccolo miracolo da sociologi: Maranello rimane intatto territorio
umano nonostante l’avvento della scienza applicata alla velocità e il gigantismo finanziario.
Vale ottomila miliardi di lire il giro della Formula uno.
Non ricordo un gran premio come quello di ieri. Visto dalla testa, consigliava di ritornare a letto
a dormire per l’insussistenza della McLaren del ragazzino finlandese Raikkonen, unico
possibile sfidante di Schumacher. Ma visto dalla coda, era roba da neurologia.
Non per nulla, Schumacher ha penato come un esordiente per fare l’ottavo posto, che gli
garantiva il punto matematico del suo sesto titolo mondiale.Era terrorizzato dall’incidente nelle
retrovie. Lui decisionista e mentalmente “uber alles”, tentennava anche nei sorpassi che di
solito avrebbe concluso con un’occhiata sola.
Così ha finito la corsa stremato, senza nemmeno la forza di richiamare i muscoli facciali per un
sorriso. Non dimostrava 34 anni; era come “vuoto”, parola sua; vuoto come la prima volta.
La tecnologia, le gomme, il tipo di asfalto, il bollettino meteorologico, il business, i poteri
organizzati, tutto sta sempre più riducendo la spazio del pilota in sé. Forse un giorno, le
macchine verranno guidate elettronicamente dai piloti in tribuna, seduti come noi spettatori.
Per adesso, ci resta ancora qualcosa di umano da centellinare. Come l’impotenza di Raikkonen,
come l’inedita ansia di Schumacher.
Ma anche come la classe di Valentino Rossi, impastata allo stesso tempo di 315 curve
perfezioniste per giro e di finale goliardia paesana, dialettale e scombinata come i suoi
amici/fans di sempre. Ma anche come il nervoso del bambino goleador Vieri, che lancia

mugugni, fumi irosi e bottigliette al paterno Trapattoni soltanto perché, sostituendolo, sabato gli
ha forse impedito altri gol facili contro gli azeri, ricchi di petrolio e poveri di football.
Non ho visto vittorie fredde. Un ottobre così scalda.