2003 dicembre 14 Europa

2003 Dicembre 14 – Europa

Senza Europa saremmo soli e parecchio apolidi; come europei non esistiamo ancora. Abitiamo
l’Europa, siamo eredi di una storia cristiana, usiamo una moneta detta Euro, abroghiamo terribili
frontiere, ci regoliamo sulle direttive europee dalle quote latte fino al calcio negli stadi, ma
sentiamo Bruxelles ancora opaca, elitaria, a sangue freddo.
Un fenomeno normale, questo, perché l’Europa dei quindici, dei venticinque o dei vent’otto Paesi
rappresenta il più grande cantiere politico del mondo, dunque un inedito tragitto dell’Occidente, un
cammino a perdita d’occhio, un processo tutto da inventare, una cultura sconosciuta. Sarebbe
stupefacente che pretendessimo di sentirci cittadini europei prima di organizzare fino in fondo
l’Europa.
Fatta l’Italia, dicevano i padri del nostro Risorgimento, facciamo gli italiani. Adesso é addirittura
più difficile: Europa ed europei dovrebbero far procedere assieme i poteri, i popoli, gli interessi, gli
equilibri. Non ultimo un ideale comune, che é qualcosa di più della stessa Costituzione necessaria a
fornire la bussola del continente dai mari del Nord al Mediterraneo.
In fondo, la sigla Ue evoca tuttora il vagito di un neonato, anche se l’Europa ha formalmente
cominciato a nascere mezzo secolo fa sulle rovine della seconda guerra mondiale. In parole povere
se guardiamo all’Europa con gli occhi della cronaca, tutto sembra in queste ore precario, faticoso,
drammatico, appeso al filo dei calcoli nazionali; ma se ne ragioniamo attraverso lo sguardo della
storia, dobbiamo ammettere che l’integrazione ha già fatto impensabili progressi.
Basti fare attenzione alle date da settimane sul tappeto, vedi il 2009 o il 2014. Non sarebbero in
ogni caso tempi lunghi ma tempi stretti, mentre le stesse ricorrenti tentazioni di rinvio nascondono a
mio parere l’enormità dei problemi più che il cinismo degli Stati.
E’ vero. L’Europa ha dimostrato più volte di dividersi su un sacco di cose decisive, la guerra, la
pace, il mercato, le risorse energetiche, l’architettura dell’Unione, i rapporti di forza con gli Stati
Uniti. Ma non tornerà più indietro. Pagherà pause, freni, ostacoli, fraintendimenti, compromessi,
scontri, senza rimettersi in discussione.
La vecchia Europa a pezzi sarebbe oggi un microbo dell’economia planetaria. Se così si potesse dire
fuori dalle righe, il continente é come condannato all’unione. Nemmeno il conflitto sul diritto di
voto per Paese riuscirebbe alla fine a far saltare l’impianto europeo; il tempo lavora fatalmente per
mitigare i tradizionali istinti di potenza e di bandiera.
Un giorno gli Stati si misureranno per ruolo comunitario non in milioni di abitanti. La scommessa é
questa, nonostante il nervosismo (popolare) e lo scetticismo (istituzionale) che da tempo circonda
Bruxelles, cioè la nostra capitale aggiuntiva, ora sospettata di titanica burocrazia, ora avvertita come
sfuggente finanza, ora immaginata come tribuna.
Servirebbe più contatto, più informazione. Senza contare che noi vecchi sembriamo a corto di
memoria europea mentre quasi nessuno si preoccupa di fornirla ai ragazzi. Per accenderla, sarebbe
forse sufficiente rileggere la pagina di un magistrale scrittore tedesco quando, negli Anni
Cinquanta, suggeriva che cosa potesse servire agli uomini dopo lo spettacolo di disumanità della
guerra. Elencava il buon vicinato, la casa, la patria, il denaro e l’amore, la religione e i pasti.
Era la sintesi della vita reale dei cittadini; l’esatto contrario dell’Europa del passo dell’oca e della
stella rossa. Trovo molto probabile che proprio la società desiderata da Heinrich Boll valga anche
per oggi e per domani, anzi, soprattutto per domani lungo la strada che porta dai pochi Paesi
fondatori all’inarrestabile allargamento dell’Ue.
Il terrorismo va combattuto insieme, all’unanimità. Un po’ di difesa militare autonoma costa molto
ai contribuenti e tuttavia fonda un’Unione quanto i patti economici e i controlli di bilancio.
Ma le opinioni pubbliche europee hanno urgenza che l’Europa si specializzi su una priorità senza
scampo. Che cioè s’inventi la formula sociale in grado di guarire il crescente malessere di interi ceti
faccia a faccia con le nuove povertà, con le nuove perdite di reddito, con le nuove rivoluzioni del

lavoro e con le nuove, spietate distanze tra lavoro e lavoro. Il lavoro, sostiene un autorevole
economista, rappresenta il rispetto di sé.
L’invenzione europea del millennio sarebbe un liberale capitalismo del welfare che non possiamo
importare nemmeno dagli ultra liberisti Stati Uniti. L’Europa ci deve provare da sola: sarebbe la
sua costituzione reale.