2003 aprile 5 Saddam

2003 Aprile 5 – Saddam

Ho sentito più volte la Botteri e la Gruber, giornaliste della Rai a Baghdad, raccontare/testimoniare
che le bombe sulla capitale irachena cadono vicinissime al loro albergo.”A 300 metri da noi”,
hanno precisato a volte le due inviate italiane, quasi indicando con lo sguardo o con un cenno della
mano il punto dei lampi, dei boati, degli incendi nell’area della città occupata dai numerosi
palazzoni del regime di Saddam Hussein.
Se dicono “300 metri”, oppure usano l’espressione “a pochissimo da qui”, sono sicuro che non
esagerano affatto e che anzi sanno benissimo ciò che affermano. A 300 metri in linea d’aria
dall’impatto di bombe terrificanti, tutti i giornalisti ospiti di quell’albergo si dimostrano persone
volontariamente coraggiose oltre che bravi professionisti. Su questo non ci piove.
Siccome è tutta gente responsabile, che non si fa bella con i rischi della guerra né soffre di turbe
autodistruttive, a mio parere questa impavida presenza a poche centinaia di metri dagli obbiettivi
dei bombardieri e dei missili segnala anche un retropensiero per così dire operativo. Abituati per
deformazione professionale a stare ai fatti, i giornalisti stanziali a Baghdad dimostrano cioè di
volersi fidare di due fatti verificati di persona sul campo, non attraverso un divertente videogioco.
Il primo. La tecnologia della guerra: che non sarà miticamente chirurgica né tanto meno può essere
infallibile e incruenta, ma che permette un crescente grado di precisione e un decrescente margine
di errore. Secondo fatto, la strategia degli alleati: che fin dal primo giorno ha dimostrato di
selezionare il più possibile i bersagli all’interno di una grande città di 30 chilometri di diametro.
Voglio con questo dire che, giorno per giorno e in diretta, anche la pericolosa vicinanza dei
giornalisti proprio ai bersagli simbolo del regime riesce a confermare da sola , e con la più credibile
evidenza, il quotidiano tentativo degli anglo-americani di ridurre al minimo le vittime civili.
Quantificare il “minimo” umano delle guerre è alla fine sempre un esercizio di morte, ma ogni
persona di buon senso sa bene che ad ogni passo la storia impone drammatici minimi e massimi.
Soprattutto Tony Blair insiste presso l’opinione pubblica inglese su questo “minimo” di vittime
civili irachene, ben sapendo che si tratta di una sensibilità da tempo in aumento in tutto l’Occidente.
Non parliamo poi dell’America, dopo la perdita di 3.000 persone nelle due Torri di New York
colpite nel giro di 16 minuti esatti da aerei civili carichi di civili dirottati contro bersagli civili.
Chi, coerente con il suo curriculum di statista, conferma ad ogni ora di ignorare radicalmente la
nozione stessa di “civili” non è Bush, né Blair. E’ Saddam. Mai vista una prassi altrettanto metodica
e lucida nell’usare i civili come materiale militare inerte dello Stato.
Civili suoi. Cittadini iracheni, sciiti, sunniti o curdi fa lo stesso.
Il regime può usare un ospedale, una moschea o una scuola come postazione da combattimento.
Contro tutte le convenzioni umanitarie, infiltra soldati in abiti civili tra la gente comune. E’ come se
assediasse le sue stesse città dal di dentro; sequestra i più indifesi; espone la popolazione per
mimetizzare le armate; si trincera di persone. Nelle aree residenziali nasconde la contraerea, i carri
armati, o l’artiglieria pesante. Sfrutta civili come ostaggi o scudi umani, ripetendo esattamente il
1991 quando adoperò stranieri e cittadini fatti prigionieri nel Kuwait invaso per metterli a
protezione di installazioni militari o industriali irachene.
Arruola terroristi suicidi, uomini, donne, donne incinte. Utilizzate come materne trappole civili,
possono essere paragonate soltanto ai bambini iraniani bendati e mandati da Khomeini, con la
promessa del paradiso, a saltare in aria sulle mine durante la guerra con l’Iraq.
Queste cose non ce le passa sotto il naso la Cia per libido da petrolio. Sono storia, cronaca, guerra
santa e giornaliera rivendicazione di Saddam, l’eroe che ha all’attivo il più alto numero di vittime
civili dai tempi cambogiani di Pol Pot.
Trovo perciò umiliante per il nostro Paese che ci sia anche una sola persona in circolazione capace
di pensare ciò che è stato detto da un cosiddetto padre nobile della sinistra oltre che leader storico
del pacifismo :”Mi auguro ardentemente che il popolo iracheno resista all’aggressore fino all’ultimo

minuto.” Parola del vecchio Ingrao e, questo il peggio, di troppi anti-americani senza la sincerità di
Ingrao.
In guerra, come noto, “fino all’ultimo minuto” equivale a “fino all’ultimo uomo”. Se questa è pace,
allora i più pesanti danni collaterali della guerra riguardano la sinistra italiana.