2003 aprile 14 Richieste

2003 aprile 14

LUNEDI’ 7

Richieste

Un gruppo di abitanti di Bassora a un ufficiale inglese:”Restate almeno due anni.”

MARTEDI’ 8

Speranze

Giovanna Botteri (Tg3):” La popolazione irachena aspettava gli americani con speranza.”

MERCOLEDI’ 9

Bandiere

Gli inglesi ce l’hanno fatta: in Iraq sono riusciti a occultare del tutto le proprie bandiere. Gli
americani ce l’hanno (quasi) fatta.
Vietando alle truppe alleate di esibire le bandiere, Bush e Blair hanno adottato la diplomazia dei
simboli. Senza bandiere occidentali sul campo, non c’è conquista occidentale. A mia memoria, è la
prima volta che succede.
Il messaggio è tuttavia semplice: se appare soltanto la bandiera irachena, vuol dire che l’Iraq passa
da Saddam agli iracheni non da Saddam agli anglo-americani. A due Paesi con il mito della
bandiera, come Stati Uniti e Gran Bretagna, la rinuncia deve essere però costata un’enorme fatica.
Ciò soprattutto per chi sta in prima linea, con conseguenze postume a dir poco imbarazzanti: si
ripiega la bandiera in sfilata ; la si distende soltanto sopra le bare.
Un segno forte, anche se debolmente rimarcato.La prassi militare ha così ceduto all’opportunità
politica; il dopo-guerra ha deciso la guerra.
Il mondo ha capito tutto in diretta, quando un marine americano di origini asiatiche (una “nazione di
nazionalità” furono definiti gli Stati Uniti) ha sbattuto la bandiera a stelle e strisce sul muso
monumentale di Saddam. Questione di attimi. Dopo pochi secondi appena, la bandiera statunitense
veniva ammainata dalla mondovisione e subito sostituita, per ordine della Casa Bianca, con quella
irachena.
Una scena che vale da sola un seminario di scienze politiche. O un corso di diritto internazionale
comparato.
Nella storia delle guerre, mai l’ostentazione della vittoria militare e il calcolo del potere civile si
sono manifestati altrettanto convergenti/divergenti in un solo fotogramma globale.
Con una appendice che la dice tutta sull’America. Quella bandiera posata dal marine in faccia a
Saddam è già stata riavvolta con cura e rispedita come una reliquia in America, dove resterà esposta
per sempre al Museo dei Marines di Washington.
Un risarcimento della memoria alla rimozione.

GIOVEDI’ 10

Bush/1

Prima domanda del dopo-Baghdad: su che cosa si fonda la strategia preventiva di Bush?
Risponde Bob Woodward, firma di punta del Washington Post, giornalista che svelò lo scandalo
Watergate provocando nel 1974 le dimissioni del presidente repubblicano Nixon.
Woodward ha scritto otto best-seller. L’ultimo, da un mese nelle librerie italiane (editore Sperling
& Kupfer), analizza “La guerra di Bush”. E la nuova politica americana.
“ Il presidente credeva che una tattica di prevenzione fosse l’unica alternativa possibile per non
aspettare passivamente gli eventi. La sua analisi era più inquietante di quella che spiegò in pubblico.
All’inizio del XXI secolo le realtà erano due: un altro attentato simile a quelli dell’ 11 settembre, e
la proliferazione di armi batteriologice, chimiche e nucleari. Se queste due possibilità si fossero
trovate a convergere in un’organizzazione terrorista o in un governo favorevole al terrorismo, gli
Stati Uniti avrebbero potuto subire un nuovo attacco in cui avrebbero trovato la morte decine o
forse centinaia di migliaia di persone. Inoltre, Bush e i suoi collaboratori avevano scoperto che
proteggere gli Stati Uniti era praticamente impossibile. Anche incrementando al massimo i sistemi
di sicurezza e diffondendo allarmi generali, il Paese era solo relativamente sicuro. Ma che cosa
sarebbe accaduto se fosse stato sferrato un attentato con armi nucleari? Una nazione libera sarebbe
diventata uno Stato di polizia. Che cosa avrebbero pensato i posteri ( e i contemporanei) di un
presidente che non avesse agito in modo aggressivo per prevenire una tale minaccia? L’ 11
settembre aveva insegnato che era meglio preoccuparsi delle minacce in anticipo.”

VENERDI’ 11

Saddam/2

Seconda domanda: che cosa dovrebbe significare la democrazia in Iraq?
Risponde Magdi Allam, 51 anni, egiziano del Cairo, ex corrispondente dell’Ansa, oggi
commentatore e inviato speciale di “Repubblica” .
Allam conosce il Medio Oriente dal di dentro ed é , a mio parere, anche il giornalista più informato.
L’ultimo suo saggio, appena pubblicato da Mondadori, documenta l’Iraq di Saddam dalla A alla Z.
“Se si parte dal presupposto, falso e infondato, che esista un’unica nazione irachena che deve
obbligatoriamente identificarsi in uno Stato centralizzato, l’Iraq non potrebbe essere governato che
in modo autocratico. L’Iraq che noi conosciamo è una creatura artificiale del colonialismo
britannico all’indomani della dissoluzione dell’ultimo Impero islamico turco-ottomano. L’Iraq potrà
diventare uno Stato democratico soltanto se si partirà dall’accettazione della pluralità. E’ vero che i
curdi sono prevalentemente nel Nord, ma sono presenti anche al Centro e al Sud. Lo stesso vale per
gli sciiti e per i sunniti. Inoltre la vitale ricchezza petrolifera, presente principalmente nel Nord e nel
Sud, deve essere a disposizione dell’intera popolazione. Concretamente, bisogna partire dal basso,
dalle realtà territoriali. Il nuovo Iraq potrà essere democratico se si libererà della gabbia dello Stato
nazionale.”

SABATO 12

Islam/3

Terza domanda: come può modernizzarsi l’Islam?
Risponde il prof. Bernard Lewis, americano, internazionalmente noto per l’autorevolezza
mediorientale.
Lo ha intervistato Fiamma Nirenstein, inviata permanente a Gerusalemme per “La Stampa”e
docente di storia del Medio Oriente a Roma. Il suo saggio-intervista , “Islam: la guerra e la
speranza”, é in libreria da poche settimane (editore Rizzoli).

“Il punto è che la cristianità è ora al suo ventunesimo secolo di storia. L’Islam è all’inizio del
quindicesimo. L’Islam non ha ancora affrontato la questione delle relazioni tra religione e Stato.
Dopo la Riforma protestante il mondo cristiano è stato sconvolto da secoli di guerre e persecuzioni
interne. L’Islam non ha vissuto tutto ciò. Le differenze all’interno dell’Islam sono talvolta
drammatiche, ma niente di simile alle guerre tra protestanti e cattolici. L’Islam in questo senso era
più tollerante verso coloro che dominava. Il cristianesimo inizia a essere tollerante con gli altri solo
quando arriva alla separazione tra potere politico e Chiesa. Ma se si chiede conto a un musulmano
della sua storia, ovvero della mancata separazione tra Stato e Chiesa, dirà: ‘ E’ un rimedio cristiano
per un male cristiano, con noi non ha niente a che fare.’ Oggi però io risponderei: ‘Adesso vi siete
ammalati voi. Per guarire dovreste provare con il rimedio cristiano ’, ovvero la separazione tra il
potere politico e la religione.”

DOMENICA 13

Pace/4

Quarta domanda: che cosa potrebbe favorire più pace?
Ha risposto già nel 1991 il sociologo tedesco Karl Otto Hondrich ( vedi la rivista “Micromega” del
maggio di quell’anno). All’indomani della guerra del Golfo di Bush senior contro Saddam, lo
studioso dimostrò di aver capito ciò che una legione di “esperti” pacifisti tuttora ignora.
“La guerra del Golfo pone anche gli europei di fronte ad una drastica alternativa: o concedere agli
Stati sovrani del mondo non industrializzato il diritto alle loro guerre egemoniche e di produrre e
comprare armi distruttive che possono essere rivolte anche contro di noi, oppure costruire un
condominio commerciale e militare in una nuova “pax americana et europea”. L’orrore verso la
guerra non ci aiuta ad uscire dal dilemma. Siamo condannati al dominio.”
La Storia dice questo. Per ora, il resto è Ignoto.

———–(citazione a parte)

Massimiliano Melilli da “Mi chiamo Alì…”, Ed. Riuniti.
“In Europa vivono più di 11 milioni di musulmani; negli Stati Uniti, non raggiungono i 6 milioni.
Ma le differenze più significative tra Europa e Usa vanno ricondotte allo status delle religioni nella
società. Nonostante la rigida separazione tra Stato e Chiesa, gli Usa si confermano il paese più
religioso del mondo occidentale: il 70% dei suoi abitanti crede in Dio, il 90% prega almeno una
volta a settimana mentre il 70% è membro di un luogo di culto. Di riflesso, per i musulmani
americani la vita quotidiana è assai più facile che per i loro fratelli europei… Consente la “naturale”
accettazione delle manifestazioni di fede dove l’Islam non è che una componente fra tante altre.”