2002 marzo 3 Terremoti

DOMENICA 24

Terremoti

“La terra che trema fa tremare gli uomini. Soltanto quelli che non hanno un tetto vengono
risparmiati dalle crisi di epilessia di un vecchio pianeta che nessuno è riuscito a raffreddare in
qualche miliardo di anni”. ( dal settimanale francese ‘ Le Figaro magazine’)

LUNEDI’ 25

Neve

Nei bollettini meteo, il Corpo forestale dello stato elabora giorno per giorno i dati sulla neve,
indicandone l’altezza in centimetri per ogni località presa a campione.E’ un servizio seguitissimo,
sia sui quotidiani che in tv o alla radio, per due interessi di massa: la viabilità e il turismo.
Tutt’altra neve era ad esempio quella dei versi di Umberto Saba, poeta di Trieste: ”…una creatura
di pianto / vedo per te sorridere”. La sua neve é un incantamento, un silenzio , una pausa della
malinconia.Come una carezza del cielo, come un’ infanzia dei sentimenti, che rende sorridenti.
Adesso la neve evoca soprattutto gomme chiodate, catene, stazioni di servizio, tutto esaurito, code,
onda verde. Fa attrezzare più che sognare, come ogni industria dell’evasione.
A guardar bene, é la settimana bianca che ora battezza e gestisce la neve, candido Pil ( Prodotto
interno lordo) delle“località sciistiche”, come le chiamano i telegiornali nella mappa del tempo
libero. E se il tempo si dimentica di far nevicare, i cannoni la sparano artificialmente sulle piste :
della neve fresca si può anche fare a meno, non del suo indotto economico.
Nella cultura contadina, già remota anche se appena abbandonata, la neve era la grande madre
dell’inverno. Non evocava il fatturato, da industria della montagna; proteggeva la terra con il suo
mantello.”La neve de zenaro per la tera la xe un bon tabaro”, spiega un proverbio veneto-giuliano
nella raccolta di Achille Gorlato, istriano esule a Venezia.
Per il contadino, la neve di gennaio è infatti una promessa, una garanzia, un anticipo di buon
raccolto: “Soto l’aqua fame, soto la neve pane”. Dire neve è dire pane nostro quotidiano, secondo
una grata intesa fra terra, stagione e provvidenza nevosa.
Con la cadenza giusta per i campi, beninteso, come avverte un altro proverbio:”La neve marzolina
dura da la sera a la matina”. Fuori tempo massimo, non conta più.
Usando un lessico più ruspante, é la stesso realismo agricolo ribadito dal detto popolare di una
Galliera Veneta d’altri tempi, nel padovano, rievocata da Linda Bareggi.”Neve su l’erba, inverno de
merda”, per lamentare che le nevicate di primavera facciano soltanto rimpiangere quelle
sfortunatamente mancate all’inverno.
Si guardava la neve attraverso occhi più soffici, una volta. Lo scrittore russo Boris Pasternak scelse
l’immagine del bosco di latifoglie sotto la neve come simbolo di ciò che appare totalmente
immobile d’inverno mentre, al contrario, sta preparando con invisibile energia la primavera.
Quel bosco bianco è vita, come per millenni la neve ha insegnato a contadini e poeti.

MARTEDI’ 26

Felicità

Prof. Remo Bodei, filosofo:”La felicità è la combinazione di una cassaforte. Numeri e lettere sono
comuni, ma ognuno deve saperli allineare. Ovviamente, la politica può fare qualcosa, ma certo non
elargire felicità: rimuovere le disuguaglianze, rendere la vita più sicura. Non di più. Il futuro è

diventato un fatto privato: felicità privata come utopia. Ma questo è un momento di svolta. Fette di
cielo private non ce ne sono più.” ( da ‘L’Unità’)

MERCOLEDI’ 26

D’Alema

Sarà vietato parlare bene di Massimo D’Alema? La domanda suona per nulla retorica visto che le
tante sinistre del centrosinistra si sono messe in testa che Berlusconi governa non perché ha vinto il
centrodestra, ma perché ha perso D’Alema!
Che bello. A sinistra circolerebbero innumerevoli geniacci della politica attorno a un solo sicuro
deficiente: D’Alema. A sentire professori, intellettuali, passanti, indignati, registi, movimentisti,
post-compagni, non-globalisti e margherite a mazzo, sarebbe bastato che D’Alema “dicesse
qualcosa di sinistra”, e armasse i baffetti, per dissolvere d’incanto il fenomeno-Berlusconi. Alé.
Nemmeno li sfiora il fatto, fatto non opinione, che la sola vittoria elettorale della sinistra nell’intero
dopoguerra l’abbia ottenuta un democristiano di scuola bolognese, ex manager pubblico dell’Iri
(Istituto per la ricostruzione industriale), economista che ai giovani consiglia “ cervello e solidarietà
“ come armi dello sviluppo. Parlo ovviamente del noto bolscevico Romano Prodi il quale,
scombussolando i reali rapporti di forza elettorale allora in campo, vinse dicendo qualcosa di centro.
Il Prodi del 1996 s’inventò di sana pianta il centrosinistra moderato nell’Italia già di Berlusconi.
Sfondò al centro, dove i pendolari del voto sono 4/5 milioni a detta degli esperti di flussi elettorali,
con un programma che coincideva con la sua faccia: affidabile, rassicurante, da leader della porta
accanto, alternativo a Berlusconi non suo nemico di classe.
Perfino all’ultra-liberismo della signora Thatcher, a suo tempo premier inglese, Prodi sapeva
riconoscere un lato innovativo, cioè la volontà di togliere allo Stato le “funzioni ridondanti “in
economia. E lui, teorico del modello emiliano, riusciva a spiegarsi anche con il modello Nordest,
gemellato al suo attraverso il capitalismo dell’uomo qualunque.
Se Prodi inventò così un centrosinistra sorprendentemente competitivo, soltanto smemorati o nesci
di turno possono trascurare il fatto che la premessa di Prodi fu D’Alema in persona. Fu lui, assieme
a Rocco Buttiglione, a dare spalla politica all’on. Bossi nel ribaltone anti-Berlusconi del Natale
1994. Fu lui il primo a patrocinare con decisione la candidatura di Prodi a leader della coalizione di
centrosinistra.
A questo proposito vorrei allegare il giudizio di uno storico al di sopra di ogni sospetto che, nel suo
pregevole libro “L’Italia del tempo presente” ( più di 600 pagine, editore Einaudi), racconta il 1996
così, testualmente:”I grandi vincitori della competizione elettorale furono indubbiamente Romano
Prodi, in quanto leader della coalizione dell’Ulivo, e Massimo D’Alema, il suo principale
architetto”. Dunque, “architetto” di un successo elettorale del tutto inedito per l’Italia fu il
famigerato D’Alema .
E’ interessante la cosa dal momento che l’autore del libro citato è lo stesso prof. Paul Ginsborg,
inglese trapiantato a Firenze, che nei giorni scorsi e in coppia con il prof. Pancho Pardi ha
sottoposto D’Alema a un impietoso confronto pubblico tra fischi, sfottò, sarcasmi, inviti a togliersi
di mezzo e roba del genere. Insomma, se lo dice proprio lui che D’Alema fu il co-autore del
successo di Prodi del 1996, c’è da credergli, o no?
Con questo voglio soltanto dire che un conto é che la sinistra discuta a fondo i successivi errori di
D’Alema, che ci sono e anche grossi, sia pure in comproprietà con tanti suoi eccitati critici di oggi.
Un conto è che la sinistra si diverta a dileggiare la sua migliore testa politica a disposizione, il solo
ex comunista che ha fatto un serio tentativo di leggere Tony Blair in italiano.
L’attore Dario Fo definisce D’Alema “l’uomo che ha fatto vincere Berlusconi” nel 2001. Ma
Giorgio Bocca, pur molto severo con D’Alema, corregge sull’Espresso che “ la svolta a destra è
mondiale e di durata prevedibilmente lunga”.Tesi distanti come polo nord e polo sud.

A mio parere il problema della sinistra italiana è la sinistra, non D’Alema, e proprio per questo è un
problemino molto politico e poco di piazza. Nel frattempo, se l’impopolare presidente dei Ds
trascorrerà qualche tempo in America, avrà tutto da guadagnare e niente da perdere.
Fino al 2006 ci sarà Silvio Berlusconi al governo e, fino al 2004, Romano Prodi resterà a
Bruxelles:c’è tutto il tempo per ritentare il mestiere di “architetto”moderato a beneficio di Prodi il
cui governo, attenzione, l’on. Bertinotti mandò a casa esattamente per “dire qualcosa di sinistra”.
Altro che Massimo D’Alema. Questi sì che sono leader vincenti.

GIOVEDI’28

Bossi

Indro Montanelli pensava che Umberto Bossi avesse nella politica italiana il ruolo plebeo di
“vilain”, alla francese. Ma adesso, con la Lega Nord al potere, quella funzione da descamisados
padani si fa più complicata: per il Bossi di governo è una voglia repressa, per l’ex Bossi di lotta una
ruggente nostalgia .
Scesa dal 10 al 4 per cento, è una Lega (sempre più) Lombarda, che dunque ritorna alle origini
personali di Bossi.Per forza di cose, è ora meno movimento e più partito di coalizione.
E’ curioso. Mentre il centrodestra accentua il leader unico e mentre il centrosinistra si scopre
movimentista, la Lega a congresso si normalizza come partito. Alla “Repubblica” Bossi aveva
dichiarato non a caso che questa sarebbe stata la sua ultima candidatura , sia pure per acclamazione,
come segretario generale.
Quando attacca l’Europa super-Stato, Bossi funge da ala no-global del centrodestra.Quando firma
assieme a Fini la legge sui clandestini, si specializza come partito d’ordine. Quando si sfila alla
chetichella dal conflitto d’interessi, chiude per sempre anni e anni di storia leghista fondati su un
assioma:”Berlusconi rappresenta un caso macroscopico,inesistente persino nei Paesi sudamericani
di incerta democrazia.”(vedi la “Padania” dell’11 novembre 1998, in prima pagina)
Il tradizionale zoccolo duro della Lega Nord resta più che altro materia da sondaggi.In fondo, è la
percentuale elettorale il primo pensiero dell’ultimo inquieto Bossi: se dal 4 si avviasse davvero al 3
per cento, l’erosione del voto renderebbe “invincibile” soltanto Silvio Berlusconi.
Una semplice partita di giro.

VENERDI’ 1

Lingua morta

Con la lira sparisce una moneta, ma diventa lingua morta anche una voce molto familiare del
vocabolario.Da oggi primo marzo 2002, ”Non avere più una lira” vuole già dire un’altra cosa: ieri
un dramma, oggi una soddisfazione.

SABATO 2

La citazione

Ulderico Bernardi da “Addio Patria, emigranti dal Nordest”, Ed. Biblioteca dell’Immagine 2002.

“Il nordest italiano, come ora si definiscono le Venezie, ha avuto in un secolo oltre 4.439.000
espatriati. Una cifra enorme , assai prossima all’attuale popolazione del Veneto. Allora, e fino al
secondo dopoguerra, vi si comprendeva la provincia di Udine, estesa anche su quella porzione di
Friuli occidentale che più tardi avrebbe costituito la provincia di Pordenone.
Di questa moltitudine, oltre 800.000 si dirigeranno alle Americhe. La metà in Brasile, il 24 per
cento in Argentina, e il 16 per cento negli Stati Uniti d’America. Non erano tutte rose e fiori.Specie
negli anni a cavallo dei due secoli. Spesso il sogno del benessere s’infrangeva nella durezza della
condizione reale.
Nei primi anni del Novecento, Luigi Barzini in una serie di corrispondenze dall’Argentina per il
“Corriere della Sera”…dava un’impietosa descrizione della realtà a cui gli emigranti erano andati
incontro sbarcando a Buenos Aires:”i venditori ambulanti che trascinano la loro triste vita sui
marciapiedi sono tutti italiani…Sono italiani i terrazzieri che scavano le fogne, i lastricatori delle
vie, i muratori arrampicati sui ponti, tutti coloro che compiono i lavori più duri, gli operai in
genere…”
Ne concludeva che “l’Argentina esiste e vive in virtù del lavoro italiano.Senza di noi non avrebbe
produzione, non avrebbe né agricoltura né industria, non avrebbe palazzi, porti, ferrovie.”