2002 maggio 29 Solitudine azzurra

2002 maggio 29 – Solitudine azzurra. Dietro Galan, nulla
Giancarlo Galan ha vinto o perso? È la vera domanda del giorno dopo, dopo il voto amministrativo in
Veneto, e già il fatto che ci si possa porre tranquillamente la domanda dimostra che il presidente della
Regione ha partecipato in pieno alle elezioni. In questo senso l’indizio più eloquente riguarda le
elezioni comunali di Verona, il cui risultato Galan confessa ora di avere atteso con angoscia, come dire
in prima persona: le cronache di questi mesi dimostrano per l’appunto che ha giocato la partita a tutto
campo, senza tregua e dovunque, cominciando da Verona e Treviso, sia nel determinare candidature sia
nel fare campagna elettorale in senso stretto. Tanto interventismo di Galan nel voto comunale e/o
provinciale pu essere visto da due angolazioni del tutto diverse. Da Palazzo Balbi, dunque dalla sua
postazione istituzionale di governatore veneto; oppure da tutt’altra visuale, e cioè da quella politica di
partito (Forza Italia) e di coalizione (centrodestra). Premesso che non c’è nulla di stupefacente in
questo doppio binario, il paradosso di Galan a me pare sintetizzabile così: da un lato ha fatto troppo;
dall’altro avrebbe dovuto fare persino di più. Provo a fotografare la situazione con la massima
neutralità possibile, senza giudizi di merito, che qui non m’interessano un fico secco. Allora: da
governatore, Galan ha fatto troppo. Si è sovraesposto, ha personalizzato, si è speso come leader di
parte, ha girato come una trottola dalle città ai paesini nel tentativo di dare la propria impronta all’intera
campagna. Visto che l’onorevole Berlusconi risiedeva in televisione, in Veneto Galan ha fatto il
Berlusconi o, meglio, ha lavorato da spot unificante della campagna veneta di Forza Italia e, in seconda
battuta, del centrodestra. Insomma, il governatore regionale si è materializzato sul territorio come un
vero e proprio candidato omnibus. D’altra parte, e qui sta il paradosso, Galan era condannato a fare
esattamente ciò che ha fatto. Nel senso che il voto amministrativo tende a dimostrare che soprattutto
Forza Italia è non soltanto poco strutturata, poco partito e ancora poco capillare, ma ha tuttora scarsa
personalità in Veneto. E quando dico personalità, mi riferisco in senso letterale alla carenza di
personaggi davvero visibili anche su basi locale. Sicché, se ce ne fosse stato ancora bisogno, queste
elezioni dimostrano che il centrodestra è oggi più di ieri Galan-dipendente, non avendo né alternative
né controfigure al governatore leader. Curiosamente, un voto molto amministrativo ha caricato su di lui
una responsabilità molto politica. In parole povere, gli piacesse o no, gli convenisse o no, Galan si è
dovuto buttare per forza in mischia nonostante i rischi. Se questa mia impressione ha fondamento,
come leader di parte ha dimostrato un coraggio da leone ma come governatore della Regione corre
rischi non di poco conto. La ragione pare evidente visto la fase che attraversa proprio in questo
momento il Veneto, che in un certo senso è la fase più istituzionale e meno di parte dell’ultimo
decennio. A scanso di equivoci, è bene ricordare che il centrodestra ha stravinto le elezioni regionali
del 2000 e che Galan ha il dirittodovere di governare con tutti i numeri e con tutte le prerogative della
maggioranza. Su questo non ci piove. Tuttavia, questo è anche un momento costituente come si dice; il
momento dello Statuto nuovo di zecca, delle nuove leggi cosiddette «federaliste» da disboscare e da
applicare, del sacrosanto decentramento di responsabilità dalla Regione agli enti locali (Comuni e
Province) ma, anche, di un ruolo molto forte e inedito della Regione Veneto. Senza questo ruolo
centrale (non centralista), soprattutto un territorio come il Veneto soffrirebbe via via di anarchia. Può
darsi che mi sbagli di grosso, eppure temo che l’eccezionale sovraesposizione elettorale di Galan in
questi ultimi mesi – se è servita al centrodestra – non servirà al suo ruolo di governatore alle prese con
temi di ampio respiro e da ampio consenso, che riguardano il Veneto futuro più che l’ordinario governo
del Veneto. Sento già parlare di «ricadute» di questo voto locale sul governo regionale. Ma quali mai
ricadute? I Comuni sono Comuni, le Province Province e la Regione è la Regione, punto e a capo. Il
centrosinistra non s’illuda, se per caso s’illude. La sola ricaduta non riguarda gli «equilibri» di vecchio

stile doroteo all’interno del centrodestra, ma semmai la qualità del rapporto, in Consiglio regionale e
fuori, tra Galan e le opposizioni: probabilmente, un rapporto ancora più schierato e ancora meno
istituzionale. Voglio dire che le oggettive urgenze elettorali di Forza Italia hanno condannato Galan a
un surplus di parte che in Regione non gli sarà affatto utile, semmai l’esatto contrario: soltanto in
questo senso i risultati dell’altro ieri non saranno neutri. Ciascuno sarà un po’ più «contro» di prima,
questo il punto, con la Lega Nord in un passaggio non semplice da leggere. A Chioggia, città di
cinquantaseimila abitanti, è al due per cento; perde centri importanti come Feltre o Montebelluna, a
volte sparendo addirittura da ballottaggi fino a un paio di anni fa scontati. Ma la Lega si conferma
formidabile alle provinciali, restando la forza più visibile nell’ente locale meno visibile. Stravince con
il centrodestra a Vicenza e da sola si piazza benissimo a Treviso. Del caso Treviso vale la pena di
riparlare con più calma, analizzando a fondo i dati, perché è straordinariamente interessante per tanti
motivi. Il candidato di centrodestra, Giacomin, non va al ballottaggio nonostante fosse l’uomo degli
imprenditori e degli artigiani, e ciò accade nella provincia per antonomasia del «piccolo è bello», delle
partite iva e del capitalismo in miniatura, mentre tiene robustamente il presidente uscente Zaia,
nonostante la solitudine della Lega Nord, ma una Lega bene organizzata ed efficiente a fronte di due
ottimi competitori come Bottacin (centrosinistra) e appunto Giacomin (Forza Italia). Gli imprenditori
contano meno e tiene di più la società? Il vento trasversale dell’articolo 18 ha soffiato qualche refolo su
un voto così tipicamente locale? Non so rispondere, anche se sospetto che ci sia del vero. Senza contare
che Zaia, trentacinque anni, ha mobilitato i sindaci, gli amministratori, il tessuto provinciale,
condensando su di sé i Gentilini, i Covre, la Lega più orizzontale e dal basso. Treviso dice che, dopo lo
sposalizio tra Berlusconi e Bossi, la Lega non si può permettere il minimo errore. Sono finiti i tempi del
voto alla Lega per votare contro tutti. O funziona tutto o smagrisce.
29 maggio 2002