2002 dicembre 1 Donne

2002 dicembre 1

DOMENICA 24 nov

Donne

( Slogan pubblicitari apparsi su settimanali femminili)
“Stanca di avere la pelle che in alcune zone è lucida e in altre secca?”
“Siete pronte per gli ultrasuoni?”
“Non dovrete più interrompere una cena a lume di candela per incipriarvi il naso.”
“Nei dettagli, tutto.”
“Voglio tutti gli occhi addosso.”
“Liberate l’immaginazione.”
“Di lei è tutto vero. Tranne le lacrime.”
“Le utopie si inseguono. Alcune si indossano.”
“Finalmente un fondotinta intelligente.”
“L’armonia del giorno, la magia della notte.”
“In pochi minuti si disegna sul tuo corpo e diventa parte di te.”
“Pensa al fascino intenso e sensuale del velluto.”
“Mentre voi sognate, lei farà tutto il resto.”
“Concentrato di vita. Forza globale anti-età.”
“Vietato invecchiare”
“Riprendetevi il tempo.”
“Sfidate il tempo!”
“Chicchiricchi di felicità.”

LUNEDI’ 25

Leggi

Passa la legge Cirami, e il primo a usarla è subito Previti. Dimmi a chi serve e ti dirò chi sei.

MARTEDI’ 26

Frattaglie

Chiama la salsiccia “Sua signoria” e il bollito “Sua maestà”, ma senza alludere minimamente al
rientro di Vittorio Emanuele. Per le virtù afrodisiache, ampiamente sperimentate in Spagna,
consiglia i testicoli o “bàe de toro”, meglio se profumati di vino e con un pizzicotto di pepe di
Cajenna. Per Natale raccomanda la lingua di vitellone, meglio se dopo il bagno nel salnitro.
Bruno Bassetto, macellaio trevisano dalla mascella brasata, ha dedicato il libro “Fra tagli e
frattaglie” a pietanze quasi dimenticate, a carni risparmiose, a sapori antichi, a ricette dialettali
contro il partito della bistecca standard. Non per niente il banchiere Dino De Poli lo ha benedetto
quale “pontefice della cucina povera”.

Bassetto “el bechèr” mi ricorda i nobili macellai padovani, da sempre devoti a Sant’Antonio e a
Nereo Rocco. Lui ha in mente i piatti casalinghi per resistere alla massificazione del mangiare al
volo.
Propone la tradizionale ossada di maiale anche come piatto dell’amicizia, subito avvertendo che
“del porsèl se magna tuto”. Le istruzioni sono precise:”Il tutto viene bollito e cosparso di sale
grosso, magari tritato con la bottiglia. L’unico dessert consentito è una graspa de fosso.”
Mi sbaglierò, ma la globalizzazione farà fatica a evitare la rivincita contadina delle frattaglie no-
global.

MERCOLEDI’ 27

I Mille

Su una cosa possiamo tutti concordare: quando Umberto Bossi riassume padanamente la storia
dell’unità d’Italia può venir fuori di tutto, in particolare se va ad arringare le pubbliche piazze del
Nord più localista.. Ma c’è chi si scandalizza anche quando il leader della Lega Nord butta là un
dato né nordista né sudista ma soltanto storico.
Nello spiegare al Senato che la devoluzione, cioè il federalismo del centrodestra, “non vuole
distruggere la solidarietà” tra Nord e Sud, il ministro per le Riforme (leghiste) ha fatto un cenno al
Risorgimento d’Italia dicendo testualmente che il paese era stato unificato “proprio grazie al Nord,
con le guerre di indipendenza combattute nella Pianura Padana e con l’avventura dei Mille , i cui
componenti erano soprattutto bergamaschi e bresciani.”
La spedizione di Giuseppe Garibaldi in Sicilia nel fatidico 1860 c’entrerà poco o nulla con la
devoluzione del 2002, ma non si vede che cosa l’on. Bossi abbia detto di tanto strano.Il ministro
deve aver semplicemente letto la popolarissima Storia del Risorgimento (Rizzoli) di Indro
Montanelli: “Il grosso dei Mille – attesta il gran toscano- era formato di lombardi, in prevalenza
bergamaschi.”
Per la precisione, i documenti parlano di 180 bergamaschi su 434 lombardi, di 194 veneti, di 150
genovesi e di 78 toscani per lo più livornesi. Già che c’era, Bossi avrebbe fatto un figurone
ricordando che tra i Mille si arruolarono anche 45 siciliani, in maggioranza palermitani, e che a
spingere il riluttante Garibaldi all’impresa fu soprattutto Francesco Crispi, turbolento avvocato
repubblicano della provincia di Agrigento.
Era quel Sud liberale e già rivoltoso che , in odio ai Borboni, guardava al Nord come a una
speranza di autonomia. Nella sua originale Antistoria degli Italiani ( Mondadori), Giordano Bruno
Guerri ricapitola così: “I democratici meridionali emigrati al Nord decisero allora di soffiare sul
fuoco, che all’epoca aveva un nome e cognome: Giuseppe Garibaldi.”
E Giovanni Spadolini, nel fare da storico i ritratti dei suoi “profeti del Risorgimento”, ne elenca
undici in tutto, toscani, piemontesi, milanesi e il dalmata Niccolò Tommaseo, patriota a Venezia.
Forse Spadolini si sarebbe limitato oggi a raccomandare bonariamente a Bossi di non tirare la
Storia troppo per la gonna padana.
Anche perché la nostra nascita unitaria fu notoriamente molto complicata e presto indebolita dalla
frustrazione civile del Sud governato a piè fermo dai funzionari piemontesi. Ha scritto Rosario
Romeo, il grande storico siciliano della questione meridionale:” Nel nuovo assetto italiano le
regioni meridionali e le stesse loro classi dirigenti non ebbero, nel fondo, che un posto secondario e
subordinato alle esigenze di sviluppo, talora in contraddizione con quelle loro proprie, delle regioni
settentrionali.”
Mi ha sempre fatto impressione un dato economico. Al momento dell’unificazione dell’Italia, la
popolazione attiva era per il 57 per cento al Sud, addirittura con più addetti all’industria rispetto al
Nord! Ma, mezzo secolo dopo, la popolazione attiva del Sud era già precipitata ben sotto il 40 per
cento mentre la ricchezza pro-capite del Nord era più che raddoppiata.

Ancora oggi la questione meridionale/settentrionale resta oggetto di studio. La conta dei Mille del
generale Garibaldi è invece pacifica: almeno quella, da Montanelli a Bossi.

GIOVEDI’ 28

La nube/1

Sto guardandomi beato la partita di coppa della Lazio, e suona il telefono. Mia sorella mi avverte di
cambiare canale perché stanno dicendo che a Marghera c’è un incendio chimico.
Sul tavolino, assieme ai giornali, ho un libro pubblicato dalla Feltrinelli proprio in questi
ultimissimi giorni:” Petrolkiller” è il suo titolo; l’hanno scritto il saggista Gianfranco Bettin e il
giornalista Maurizio Dianese. Racconta di operai, di uomini e di plastica, di cloruro di vinile, di
morti per cancro, di segrete omertà industriali, di un processo penale che viene da molto lontano.
Un capitolo comincia con una canzone ecologista dei Pitura Freska, “Sarìa bèo”. Sarebbe bello che
la grande fabbrica estesa non mettesse paura a chi ci lavora dentro e a una città di 300 mila abitanti
a ridosso. Sarìa bèo che, stando alle statistiche, veneziani e mestrini non segnalassero la più alta
percentuale di tumori del Veneto.
Porto Marghera è un’area industriale di più di duemila ettari, quasi tre volte Venezia storica, con
350 unità produttive e 12 mila addetti. Ma è naturalmente il settore chimico che provoca gli incubi
tossici che ora vedo anch’io scivolare via, in sovra impressione, sulle tv private del Nordest.
Quattro anni fa furono stanziati 9.000 miliardi di lire per una bonifica che dovrebbe concludersi nel
2005. Basteranno a mettere in sicurezza il latente “Petrolkiller”?
Adesso, l’incendio e la nube tossica di turno, forse più rischiosa del solito. Da casa, telefoniamo
subito a un’amica di Mestre, non si sa mai. Infatti, non sa ancora dell’incidente. Mette giù il
telefono e corre subito a chiudere la finestra della camera e la porta del terrazzino.
Quando richiama, le pare di avvertire prurito sulla pelle delle mani: “Sarà suggestione”, ammette.
Intanto, ha pronto anche un fazzoletto bagnato per proteggere semmai il respiro.
Non so che cosa possa esserci di peggio di una nube tossica. Il vento non sa leggere, e tanto meno le
invisibili diossine.
L’aria diventa nemica. Si respira come trattenendo il fiato: non ci si fida più di niente, nemmeno del
primo gesto del vivere.Vivere è respirare. L’aria è la prima libertà. Si dice “aria!” persino per
liberarsi di qualcuno che sta tra i piedi.
Quella sera, continuo a guardare la tv a caccia qua e là di aggiornamenti. C’è chi spiega che la nube
si sarebbe alzata dritta in cielo, sparendo senza far male in una notte poco ventilata. Chi lascia
intendere che sono riusciti a non farla alzare da terra.
Più tardi, il sindaco di Venezia si toglie la maschera anti-gas e annuncia in diretta il cessato
allarme. A casa nostra, a una trentina di chilometri in linea d’aria da Marghera, sbirciamo fuori dal
condominio, annusiamo, ci pare di sentire qualcosa di asprigno, chiudiamo tutto come se abitassimo
in Corso del Popolo a Mestre.
Quella nube è di tutti.

VENERDI’ 29

La piena/2

Il fiume entra in casa e, passata la piena, se ne va via come un ladro lasciando stanchezza e fango su
ogni oggetto familiare. Un alluvionato di Pordenone si è messo a piangere sul suo uscio: “ Bisogna
provàr par credere”, ha solo mormorato quasi accarezzando i muri bagnati. Anche i sentimenti
esondano.

SABATO 30

La citazione

Laura Simeoni da “Fiabe e leggende del Piave”, Editrice Santi Quaranta.
“E poi quel fiume non si sapeva mai che aveva in testa di fare: il temporale con la pioggia tanto
attesa avrebbe portato come sempre anche la piena e i paesi potevano venir spostati ora sulla sponda
destra ora sulla sponda sinistra. Così era successo più volte a Ponte di Piave: ancora oggi una sua
contrada si chiama Borgo Sotto Treviso, benché si trovi sulla riva sinistra della Piave.”