2002 agosto 22 Nordest e Slovenia

2002 Agosto 22 – Nordest e Slovenia

A botta calda sento dire: ma dovevamo organizzare proprio a Trieste la partita Italia-Slovenia? Mi
tuffo sul calendario, vado a controllare e mi tranquillizzo: non siamo negli anni ’50 né ’70, ma nel
2002, terzo millennio dell’era cristiana, e allora rispondo che nell’agosto del 2002, a Trieste come a
Lubiana, una partita amichevole tra le squadre nazionali di Italia e di Slovenia si dovrebbe poter
giocare anche senza gli agenti del secondo reparto mobile di Padova, senza i carabinieri del
battaglione mobile di Gorizia e senza i baschi verdi della Guardia di finanza.
Non scherziamo per favore. Usa e Cina riuscirono a scongelare con una partita di ping pong i
rapporti più difficili dell’intero pianeta; non mi si venga ora a dire che è normale che un match
feriale e comodamente transfrontaliero venga trasformato in una serata di stampo etnico. Se
accettiamo parametri di questo tipo, è la fine della ragione e il trionfo dei cervelli rasati, dei violenti
mai abbastanza menati dai poliziotti, degli invasati invasori e di chi considera il pallone la
prosecuzione della guerra con altri mezzi.
E’ sempre umiliante sentir fischiare gli inni nazionali, ma non sarà la prima né l’ultima volta. Nella
mia esperienza di inviato negli stadi di mezzo mondo, ne ho viste e sentite di tutti i colori perché –
fortunatamente – l’imbecillità è imparziale e dunque non risparmia nessun Paese.
Da telespettatore, l’altra sera ho colto piuttosto un’atmosfera malata, che sembrava di colpo uscire
dall’attualità del vivere per rientrare nelle viscere della storia. Questo si sentiva in tv, ed è stato il
peggio della serata, peggio dei fischi agli inni.
Sarebbe dunque sbagliato liquidare quella malattia in curva come un’ordinaria faccenda di ultràs,di
estremisti alcolemici e di attaccabrighe d’ogni risma. Dal mio punto di vista ne ricavo una morale
non di scarso conto, che esce dal recinto del calcio e che allude anche ad alcuni luoghi comuni, a
certa retorica e a qualche rimozione.
La comunità di Alpe-Adria ha quasi un quarto di secolo e ha lavorato dalla mattina alla sera per
aprire questa frontiera, a dispetto di tragedie, orrori, memorie e chiusure. Quando, all’inizio degli
Anni Novanta, la Slovenia scelse la sua sacrosanta indipendenza, fu il Nordest a fare politica estera
in proprio forzando anche le ragioni della diplomazia rivendicate dal ministro degli Esteri De
Michelis.
Il Nordest “riconobbe” sovrana la Slovenia mentre veniva aggredita dai carri armati di Belgrado. Se
ricordo bene quei giorni fatidici, a Lubiana andò per il Friuli-Venezia Giulia il presidente Biasutti,
Cremonese per il Veneto, Andreolli per il Trentino- Alto Adige. Peterlé, leader del governo
indipendentista della Repubblica slovena, veniva considerato non a caso “figlio di Alpe Adria”
avendoci creduto per anni.
Da ogni punto di vista, tantissima acqua è passata sotto i ponti e sono passati quasi quarant’anni da
quando entrò in consiglio comunale a Trieste il primo sloveno. Senza insistere fin troppo sul tema,
credo si possa dire senza scandalo che se così stanno le cose, e non da oggi, un’amichevole di calcio
d’agosto tra Italia e Slovenia a Trieste non doveva essere spostata di sede per una specie di legittima
suspicione da qui all’eternità. Poteva essere un’occasione popolare e civile.
Con una postilla. Una partita tecnicamente mediocre per solo demerito della nostra amatissima
Nazionale ha avuto almeno il merito politico di svelare sugli spalti un sottosuolo forse trascurato o
sottovalutato per qualche consolazione di troppo. Nel suo livore, è stata una serata brutalmente
sincera, che ha sbattuto sotto i riflettori un problema, fino a confondere le Nazionali del pallone con
ismi da vetero-nazionalismi di marca balcanica.
Meglio così, per paradosso. La cooperazione, gli scambi, lo spirito di Alpe-Adria,le suggestioni
mitteleuropee, le ragioni dell’economia, il comune destino nell’Ue, la tutela delle minoranze, tutto
questo cammina ma facendo i conti di intere generazioni e ben sapendo che il cammino non può
dirsi concluso nemmeno in uno stadio di calcio.
Nonostante tutto, è sempre utile sapere le cose senza reticenze. Per guarirne.