2001 maggio 31 Fuori i soldi

2001 maggio 31 – Fuori i soldi!

Fatta l’Unita d’Italia, il parlamento liberale si divideva in Destra e Sinistra, la prima perché siedeva
alla destra del presidente, la seconda alla sua sinistra. Naturalmente, alla dislocazione corrispondeva
la differenza politica: liberal-conservatrice la destra; liberal-progressista la sinistra, quando ancora
non esistevano comunisti, fascisti e cattolici in politica.

Un bel giorno, nel passaggio da Destra a Sinistra di governo, un presidente del Consiglio invocò la
“trasformazione”, che oggi si potrebbe tradurre in trasversalità. Il che significava anche prendere in
parlamento i voti come venivano, senza badare agli schieramenti: chi ci sta, ci sta.

Nel bene e nel male, era nato il cosiddetto “trasformismo”. Nel bene, garantiva il parlamentare dai
vincoli di lobby e di partito; nel male, lo esponeva al mercato dei voti. Una vera piaga, da allora, con
gente che andava e veniva, o di qua o di là fa lo stesso, per puro interesse, a volte inconfessabile.
Nella terra di nessuno fra Destra e Sinistra, si poteva vivere di rendita.

Il vizietto sopravvive a guerre, cambi di regime e Internet, come se niente fosse. Nella scorsa
legislatura ha battuto ogni primato, con circa duecento parlamentari senza fissa dimora: nato per
aggregare nobili minoranze, lo stesso “gruppo misto” era diventato una grande frittura mista.

Questa neo-nata legislatura ha registrato, con il solo senatore eletto dalla lista di Di Pietro, una
partenza da formula uno. Appena accese le luci del Parlamento, lo Schumacher del trasformismo
stava già altrove; non ho ben capito dove, ma certamente altrove rispetto ai 7/8 mila elettori che lo
avevano votato.

Il parlamentare in questione, che per disistima non nomino, pare abbia spiegato che almeno
cinquemila dei voti presi con la lista Di Pietro erano “suoi”, immagino personali come la cravatta e i
calzini. Insomma, voti di proprietà privata, separati da ogni simbolo, programma, riferimento: la mia
“roba” direbbe un personaggio della letteratura verista.

Gli americani hanno tutt’altra stoffa, come dimostra in queste ore lo choc procurato agli Stati Uniti
da senatore James Jeffords, che bazzica il Congresso, cioè il parlamento Usa, da 26 anni e che perciò
è tutt’altro che un pivellino allo sbaraglio.

Lasciando dalla mattina alla sera i repubblicani, il senatore del Vermont ha modificato la maggioranza
del Congresso a vantaggio dei democratici, adesso 50 a 49. Una mazzata per il neo-presidente Bush,
repubblicano. Nel tentativo di riabilitarsi, il sen. Jeffords ha però fatto una mossa nemmeno
lontanamente immaginabile in Italia, dichiarando di voler restituire, a tutti coloro che le
richiederanno, le donazioni per la campagna elettorale. Fora i schèi, diremmo noi, e lui caccia fuori i
dollari presi dai sostenitori dello Stato del Vermont. Uno di questi, che si aspetta di ritorno 4000
dollari, ha detto: “Ci sentiamo traditi, come minimo rivogliamo i soldi”.

Trovo straordinaria questa storia americana, per tre buone ragioni. Primo: con assoluta trasparenza,
mostra la normalità dei finanziamenti alla politica. Secondo: coerentemente con la cultura protestante,
monetizza anche il principio di responsabilità (chi rompe paga). Terzo: bada al sodo dei gesti e dei
fatti, non all’ideologia.

Non per nulla, dopo aver annunciato la restituzione dei fondi, il trasformista d’America ha cominciato
a…ricevere donazioni non richieste! Come per dirgli: l’hai fatta grossa, caro Jeffords, ma dimostri
almeno di saperlo bene mettendo mano all’unica cosa molto convincente negli Usa: il portafoglio.
Birbante, però a testa alta, in contanti.

In Italia no. Da noi, i trasformisti tengono sempre famiglia e, ben stretta, l’indennità parlamentare.
Con un’altra differenza, mi ha fatto osservare Mario Carraro, che qui si sale sul carro del vincitore di
turno mentre James Jeffords è sceso da quello del vincente Bush.

Forse per questo un grande scrittore come Giuseppe Prezzolini, dopo aver vissuto un quarto di secolo
in America, pensava di intitolare un libro “Memorie di uno straniero in Italia”: perché tale si sentiva
qui, e perché tale lo consideravano gli italiani.