2001 Febbraio 19 I schèi

2001 Febbraio 19 – I schèi

Che lagna: come ieri si diceva “Veneto bianco”, oggi si ripete “Il ricco Nordest”. La nuova identità
partirebbe dai schèi, incarnazione post-contadine del diavolo.

Chi scrive del Veneto, parte fatalmente dal schèi. A forza di diagnosticarlo ammalato di schèi, sotto
sotto si finisce per accreditare un Veneto che stava meglio quando stava peggio.

Senza i schèi, sarebbe stato un Veneto buono. Con i schèi un Veneto cattivo e incarognito nel suo io
collettivo.

Fino ai primi decenni del novecento era anche malnutrito e pellagroso, soprattutto nella bassa pianura
di Padova e Treviso, particolarmente tra i contadini dei piccoli affitti. E però come era buono il Veneto
analfabeta, bigotto, emigrante, di pochi ricchi e di tanti “proletaroidi”, come si diceva in Germania.

A distanza di tempo, quel ritrattino è diventato caricatura di un Veneto a fumetti, poetico e dolce,
tutta natura e solidarietà, povero in canna ma vuoi mettere con il Veneto di oggi, involgarito dai schèi,
inquinato dai schèi, travisato dai schèi? Da parte mia sostengo invece che i schèi sono ancora pochi
e che il mio vecchio caro Veneto era dolce per pochi, duro per tanti, rassegnato per troppi.

I ricchi conoscono il benessere da generazioni. I neo-ricchi lo stanno assaporando da pochissimo e
hanno diritto di farci l’abitudine, con figli, nipoti e pronipoti. Il capitalismo è sociale soltanto quando
distribuisce i schèi: e, semmai, c’è ancora tanta ricchezza da ridistribuire.

Do anche ragione al deputato Covre. Bisogna domandarsi se sia vero benessere lo sviluppo che, ad
esempio, impedisce a una coppia con due stipendi di permettersi più di un figlio. Il classismo morto
da una parte rinasce demograficamente?

Tommaso Padoa-Schioppa (Banca d’Italia, Consob, eccettera) ha scritto sul “Corriere” che,
nonostante i molti studi, resta “misterioso” perché il povero Veneto e la derelitta Baviera siano
diventate nel giro di trent’anni due delle più dinamiche regioni d’Europa. Ha però aggiunto che tre
cause sono innegabili: “il mutare di radicali atteggiamenti mentali, il rifiuto dell’atavico fatalismo, il
nascere e il diffondersi della fiducia.

I schèi non sono moneta. Sono il frutto di una sofferta epopea del lavoro.