1996 marzo 13 Il nuovo Gratta&Vinci

1996 marzo 13 – Il nuovo Gratta e Vinci

Dirlo non è elegante, ma questa campagna elettorale fa letteralmente schifo. Mai visto uno spettacolo del
genere, bisogna ammetterlo, neanche in piena partitocrazia. Già paghiamo il vizio di fondo, cioè
l’inutilità del voto del 21 aprile, sicché ci ritroveremo in ostaggio di quegli stessi problemi che alle
elezioni hanno portato! In più, le candidature mettono in primo piano tre fenomeni degenerativi. Il primo.
Una legge elettorale imbastardita dal proporzionale favorisce l’invadenza degli apparati di partito,
soprattutto centrali, le famigerate «segreterie nazionali». Basti pensare che, in un’area leader come il
Nordest, i vari segretari regionali contano – chi più chi meno – come il due di coppe e sono costretti dalla
mattina alla sera a tenere accesi i telefonini per ricevere da Roma o da Milano il chi e il dove delle
candidature da presentare qui, sul territorio, in Veneto come in Friuli o altrove. Altro che federalismo!,
siamo nel bel mezzo di una nuova colonizzazione. Il secondo. Il numero dei partiti, oggi 47, esalta
l’industria del ricatto elettorale, nel senso che l’equilibrio fra centro-destra e centro-sinistra spinge anche
formazioni da 0.5% a giocarsi con il coltello anche la più risibile delle candidature. Il terzo. L’esistenza
di un centro senza nobiltà politica, ridotto a puro ventre molle, produce il massimo del trasformismo.
Candidati che passano indifferentemente da uno schieramento all’altro e, all’ultimo, optano per il
presunto vincente. Alla faccia delle idee, dei programmi, della dignità. Il tutto nel nome
dell’improvvisazione, senza un minimo di preparazione del ceto politico. A dominare è il gratta e vinci
elettorale, l’arraffare di uomini-voto: conta poco o niente sapere su che cosa e quanto si impegnano; basta
che funzionino da specchietto per le allodole. Le «desistenze» sono l’anima di questo disordine. Tu
rinunci a un collegio votando contronatura per il mio candidato, anche se lo detesti; io ti lascio la piazza
libera in un altro collegio, turandomi il naso nel votare per il tuo. Se almeno perdonabile tra forze
omogenee, la desistenza appare un monumento al cinismo quando collega forze reciprocamente
repulsive. Anche i confini tra vecchio e nuovo fatalmente si mescolano. Esemplare il caso di Ciriaco De
Mita che ritorna sulla scena con l’Ulivo, proprio la forza che si presentò come il tentativo di innovare la
cultura stessa della sinistra, il suo linguaggio, la sua nozione del potere. Conta poco che Prodi, D’Alema
e Veltroni confessino ora di subire quella candidatura: se così è, se la subiscono, risulta provato una volta
per tutte che le clientele valgono infinitamente più dei programmi, che il nuovo è soltanto nuovismo, che
per un miserabile collegio si è pronti a occultare speranze di largo respiro. L’altra faccia dello stesso
calcolo è il caso-Padova, dove l’ex sindaco Paolo Giaretta, bravo e onesto amministratore, prima viene
candidato dall’Ulivo e dal Ppi, poi cancellato di colpo al mercato delle candidature romane, per dare
spazio a sigle e nomi di nessun seguito. Uno scandalo, rimediato soltanto ieri notte, pare. Diciamola tutta.
A 40 giorni da queste elezioni, conviene pensare alle prossime. Chissà, aprile del 1997, forse prima.

13 marzo 1996