1996 giugno 1 Né inganno né autoinganno

1996 giugno 1 – Né inganno e neppure autoinganno

Non ho aspettato di leggere il discorso di Romano Prodi prima nei lanci delle agenzie di stampa poi nella
sintesi della nostra redazione di Roma. L’ho ascoltato alla tv, in diretta, perché a volte contano anche
accenti, voce, faccia. Confesso soddisfazione. Un intervento forte, cruciale, che mi è parso estremamente
sincero soprattutto nell’invocare la riforma radicale dello Stato. Sì. Prodi ha detto “radicale”. Ora, è
verissimo che da almeno quindici anni l’Italia paga la corruzione delle parole, molto più devastante di
quella degli appalti, fino a spingere l’opinione pubblica verso un crescente rancore nei confronti del ceto
politico. Ma è anche vero che, in particolare negli ultimi mesi, il nostro Paese ha capito l’essenziale, e
cioè che il tempo della transizione non può durare all’infinito. Al di là delle opinioni, un fatto va
segnalato. Mai nella storia di Montecitorio, un presidente del Consiglio aveva posto la questione
federalista nel cuore stesso delle riforme, senza perifrasi, persino senza prudenze o diplomazie.
“Federalismo fino in fondo”, ha chiarito Prodi chiedendo alla Lega Nord il “coraggio” di credere nella
sua unica ragione di vita: appunto il federalismo, non il fantasma della secessione, per definizione anti-
federalista. Prodi è un cattolico, conosce a menadito la via cattolica al federalismo tracciata dal cardinale
Martini. Il suo governo nasce da una sinistra che ha molto marciato verso il centro e che ha attraversato
lacerazione non da poco nel tentativo, non ancora pienamente compiuto, di lasciare alle spalle il colossale
ingombro di cultura statalista. Prodi è anche un patito del modello federale tedesco, che dopo la guerra
hitleriana rifondò lo Stato ripartendo dal Land, regione-stato. Non credo a un inganno, e nemmeno a un
autoinganno. Se punta anche alla così detta “capitale reticolare”, in parole povere a strutture di comando
e di potere finalmente decongestionate da Roma, Prodi non fa che arrendersi, da pragmatico, all’evidenza
di uno Stato centrale che non ce la fa più. Il federalismo è una rivoluzione. Ma bisogna pur cominciare
con il primo colpo di piccone.

1 giugno 1996