1996 Gennaio 7 Ma quanto è sicuro il Tg3

1996 Gennaio 7 – Ma quanto è sicuro il Tg 3

Giovedì, venerdì e sabato abbiamo pubblicato un’inchiesta di Giuseppe Pietrobelli sulle Coop
Rosse, in relazione al lavoro che sta svolgendo il pm veneziano Nordio. Notizie inedite, a
cominciare dai verbali di interrogatorio dell’ex ministro doroteo Prandini, pesanti nei confronti di
D’Alema ma non solo.
Vi apparivano anche i nomi di Casini e di Giuliano Amato come referenti della Dc e del Psi ai tempi
in cui, se le imprese non venivano “segnalate”, gli appalti se li potevano anche scordare.
Per noi era routine. Quando abbiamo le notizie, le pubblichiamo senza chiederci a chi dispiacciono
e a chi no. Proprio non ce ne frega niente: poiché non siamo rimbecilliti, comprendiamo benissimo i
possibili effetti ma non ci è mai passato nemmeno per l’anticamera del cervello di tenerci una
notizia nel cassetto soltanto perché malevola per una parte politica e benevola per un’altra, secondo
un’antica legge che oggi recita: la morte del Polo tuo è la vita del Polo mio.
Sono fino in fondo sincero: non ne abbiamo nemmeno discusso. Perché non c’era nulla da discutere,
si pubblica e basta una volta accertata la notizia, come nel caso delle Coop Rosse.
Neanche a dirlo, il metodo non sarebbe cambiato nemmeno di una virgola se le notizie avessero
riguardato Berlusconi invece di D’Alema, un cespuglio post – democristiano piuttosto che il Pds, un
industriale in luogo di un partito.
Non insisto anche perché dico cose banali, per noi è la regola, ieri, oggi e domani. Se mi sono
dilungato è soltanto perché l’altra sera, all’Edicola del Tg3, il conduttore ha presentato la nostra
inchiesta con queste parole più o meno testuali, dal significato inequivocabile: “ Ci sono giornali
che hanno aperto la campagna elettorale”.
Non sapevo se essere incavolato o infastidito, ma l’incertezza è durata un paio di secondi. E ho
deciso di non essere niente, consigliato da un sano e robusto scetticismo. Né una telefonata, né un
fax, né un vagito di protesta, niente.
Questo è un Paese dove chi informa è spesso specialista del non informarsi. Non sa, non conosce,
non indaga, ma non vuol fare la fatica di sapere, conoscere, indagare. Procede per luoghi comuni e
approssimazioni, ignora il provvidenziale istituto del dubbio, spara quel che gli pare, tanto il
contenitore non ha fondo, e lì apposta per contenere di tutto.
Non ce l’ho con il Tg3, che preferisco ad altri con maggior ascolto, né con l’Edicola alla quale non
per nulla inviamo da tempo la nostra prima pagina. Mi interessa la sottocultura politica che ne esce
fuori e che circola tuttora in Italia nel nome del partito, della fazione o semplicemente del proprio
pregiudizio personale.
Il collega del Tg3 è certo che noi parliamo di Coop Rosse perché siamo entrati trionfalmente in una
campagna elettorale che nessuno fra l’altro sa ancora prevedere. Noi abbiamo invece il sospetto che,
se l’inchiesta avesse riguardato ad esempio la Fininvest, saremmo stati risparmiati.
Contro la sua certezza, il nostro ingenuo sospetto, del quale ci scusiamo perché noi vorremmo al
contrario credere ostinatamente in una informazione senza doppio o triplo fondo. Che provi una
volta per tutte a regolarsi sui lettori senza preoccuparsi del “cui prodest”, a chi serve politicamente
una notizia o l’altra.
Sarebbe ora di smettere di pontificare sulle riforme finché non riusciremo a riformarci almeno dal
vizio del settarismo. L’informazione per partito preso non è informazione, lo sanno anche i bambini.