1995 agosto 8 Groviglio di leggi e favori che pagheremo tutti…

1995 agosto 8 – Groviglio di leggi e favori che pagheremo tutti…

Inquietano alcuni fatti. Concomitanti.

Il primo. Indispensabili alla lotta, contro la criminalità organizzata soprattutto in un Paese con servizi
segreti in tutt’altro affaccendati, i 1091 pentiti (4500 con i familiari) stanno passando un bruttissimo
quarto d’ora in vista di una raffica di maxi-processi. Da una parte incombe la minaccia mafiosa, che
giustamente li considera il nemico numero uno; dall’altra, lo Stato non ce la fa più a garantire a tutti
un ambiguo vitalizio; il Ministro degli Interni pensa, dunque, di avviare il loro inserimento nel mondo
del lavoro, tentando di non esporli a pericoli davvero mortali.

Dilemma non da poco. Senza pentiti non ce la facciamo, con troppi pentiti si rischia l’abuso. Il tutto
complicato dal cosiddetto “dibattito sui pentiti”, che finisce con il delegittimarli in toto, esattamente
come si prefiggono i boss.

L’Italia ama il melodramma. Quando vede saltare in aria Chinnici, Borsellino o Falcone, invoca il
mitra e tutti al muro senza processo; quando ritorna ai suoi affari quotidiani, si lascia commuovere
dal garantismo di salotto che immagina la guerra di mafia come un vecchio film di cappa e spada,
pieno di cavalleria…

Secondo atto. Entrato in vigore sette anni fa, il nuovo codice di procedura penale, fu subito battezzato
“il codice degli avvocati” per la tutela che offriva agli imputati. Caso unico al mondo, prevede infatti
tre gradi di controllo (il Gip, il Tribunale della Libertà e la Cassazione) su ogni provvedimento che
riguardi la libertà personale. Quando si tratta di garanzie, meglio abbondare che lesinare.

Ma Tangentopoli, scandalo di potenti non di poveri diavoli, saccheggio di chi tutto aveva e poteva
non reato comune, ha innescato una reazione prima di potere poi legislativa che è andata ben oltre il
segno. Se quello del 1988 era, per civiltà giuridica, “il codice degli avvocati”, la legge sulla custodia
cautelare approvata giovedì scorso passerà forse alla storia come “la carta degli inquisiti”.

Povero Falcone. Chi d’ora in poi racconterà menzogne al pubblico ministero non finirà più in galera
come proprio lui aveva voluto. La ricerca della verità si fa molto più dura per i magistrati.

E del resto, dopo essere stato costretto a dimettersi per aver disturbato l’Italia dei ladri, Antonio Di
Pietro si vede oggi rivoltato come un calzino sporco mentre Mario Chiesa, buccia di banana del
sistema delle tangenti, si può al massimo mangiare le unghie dalla rabbia. Con la nuova legge varata
dal Senato, lui non sarebbe mai stato preso in flagrante, con il sorcio in bocca come dicono a Roma:
l’avvocato lo avrebbe potuto avvertire in anticipo che si stava indagando sul suo conto. E addio
sorpresa.

Conclusione. Soprattutto in un Paese che non fa nulla, letteralmente nulla, per accelerare i processi,
era obbligatorio mitigare la custodia cautelare. Ma non a costo, com’è invece accaduto, di
aggrovigliare ancor più le indagini e di concedere favori che puntualmente pagheremo tutti. Quando
vedremo, ad esempio, sequestratori o trafficanti di droga processati a piede libero, sarà troppo tardi
per scandalizzarsi. In Parlamento ciascuno pensava ad altro, chi ai suoi fondi neri, chi alle sue coop
rosse…