1995 agosto 3 Parodia delle riforme

1995 agosto 3 – Parodia delle riforme

Nel palinsesto della politica televisiva, il Parlamento chiude le trasmissioni: la Camera ha ricapitolato le
cose che gli italiani hanno sentito o letto almeno cento volte al giorno. Da Montecitorio, buonanotte e
sogni d’oro. Noi siamo tra quelli che non si divertono nel vedere il Parlamento ridotto a eco lontana, ma
è così. Non un passo avanti, non uno sforzo di unità per superare la paralisi: più mostrano il petto in fuori
a difesa dell’unità della Repubblica, più si separano al momento di ricercare le regole. Cioè un linguaggio
comune, l’abc istituzionale dal quale partire per confrontarsi in campo aperto sui programmi di governo.
Senza far rumore, hanno prima sfasciato il tavolo degli accordi minimali. E alla Camera è andata in onda
la parodia del riformismo, vale a dire il massimo di quello proclamato, il minimo di quello attivato. Zero.
Berlusconi chiede riforme dopo il voto, D’Alema prima. Il centro-destra vorrebbe votare in autunno ma
Casini, che ne fa parte a pieno titolo, annuncia che si voterà a marzo. Il centro-sinistra preferisce la
primavera, in ciò concordando con Casini ma non con Rifondazione che, sul voto, ragiona come ad
Arcore. Collegando istituzioni, elezioni e governo Dini, si possono ricavare una serie infinita di incroci,
che funziona così: se ti accordi su due punti non lo farai mai sul terzo, ma se accetti il terzo rimetterai
subito in discussione almeno uno dei due punti già concordati. Sicché il dibattito di ieri, più che
fallimentare, è stato inutile. Sulla carta, questo Parlamento si dichiara federalista e disposto a eleggere
un’Assemblea Costituente per dar vita alla «Repubblica Federale Italiana». Sul federalismo siamo quasi
all’unanimità, sull’Assemblea poco ci manca visto che a turno l’hanno invocata la sinistra e Berlusconi,
Fini e Bossi. Ma visto che, a dispetto delle possibili convergenze, le forze politiche sono in realtà
terrorizzate dalla possibilità di accordarsi, vuol dire che molti barano o mentono. Finché il Parlamento si
divertirà, ci conviene Lamberto Dini: fa quel che può, ma è ancora l’unico che fa più di quanto dica.

3 agosto 1995