1995 agosto 21 Sì, arriva il tempo della donna

1995 agosto 21 – Sì, arriva il tempo della donna

Non sarà soltanto una questione di lavoro, di orario, di parità nelle retribuzioni. Non si esaurirà nel
chiarire che il suo lavoro, in ogni caso, sconfina ben oltre gli spazi contrattuali. Né si ridurrà a
misurare il fenomeno in termini economici, o sociali, di evoluzione familiare.

Il caso-donna è tutto questo, ma qualcosa di più, di più rivoluzionario. L’avvento di una cultura nuova.

Il futuro dirà che l’ideologia è maschile, il pragmatismo femminile. Il declino dell’ideologia,
dell’utopia e dei valori di ferro accompagna la crisi della cultura al maschile, che è anche crepuscolo
della politica come Grande Progetto della società-

Per l’uomo la politica è un recinto esclusivo. Secondo Freud la maternità richiedeva il tempo pieno
mentre lo stesso Marx negava valore produttivo al lavoro casalingo.

La società contemporanea corre velocemente verso il traguardo opposto. Cioè la politica come
amministrazione, nel senso alto, o come gestione, secondo il parametro forse più arido. In entrambi
i casi, ne viene esaltato il pragmatismo, femminile per essenza, perché da sempre esercitato
nell’organizzazione della vita quotidiana e dei bisogni concreti. Ieri in famiglia, oggi nella società,
oggi come ieri in una strenua, spesso, molto spesso incompresa sintesi tra ruoli che si cumulano
cumulando fatiche personali e civili.

Ne sono arciconvinto. Il realismo, la flessibilità, la voglia di emergere, tutti gli indicatori dello
sviluppo lasciamo intuire che sta arrivando il tempo della donna. La quale troverà nella tecnologia
l’alleato fatto su misura perché la tecnologia misura appunto l’intelligenza, non il muscolo, e
reinventa il mito della potenza attraverso informazione e comunicazione.

Shannon Faulkner, ha pianto quando l’altro ieri ha visto i marines del più duro collegio militare della
Carolina del Sud urlare di felicità per la sua resa, prima donna che aveva osato sfidare la loro
esclusività. Si sarebbe dovuta accorgere che quell’urlo era tanto più liberatorio quanto più ancestrale
era la loro paura tipicamente maschile.

La paura di perdere un monopolio culturale.