1994 novembre 11 Siamo primi soltanto negli spot

1994 novembre 11 Siamo primi soltanto negli spot

Il Giappone sa di avere un nemico endemico: il terremoto. Attorno a questa consapevolezza ha
costruito una cultura del rischio sismico, che comincia fin dalle scuole materne. Il massimo
dell’informazione e il minimo dell’impreparazione preservano vite umane, oltre che risorse
economiche, più che in qualsiasi altro Paese al mondo alle prese con quel problema.
La comunicazione è anche l’arma che limita negli Stati Uniti l’impatto di inondazioni di enorme
portata, come l’ultima del Mississippi, lungo cinque volte il Po. Tutto concorre ad allertare l’opinione
pubblica, ben sapendo che l’allerta somiglia pochissimo all’allarmismo: la prima prepara, disciplina,
aiuta; il secondo disorienta, sempre sospeso a mezz’aria tra incredulità e psicosi.
Gli americani sono specialisti ad informare la gente minuto per minuto, perché hanno imparato da
certi tifoni che la natura – quando si scatena – non ha tempo da perdere e non aspetta l’uomo. Usano
la televisione e la radio come uno strumento di prevenzione: la notizia funge da prima bussola. Tutti
sanno presto, subito, ovunque.
Anche l’Italia vanta un record della comunicazione, ma è quello di spot! Oltre un milione di annunci
pubblicitari nel 1993 contro trecentomila in Francia e 450 mila in Germania. Nel vendere siamo i
primi, nel prevenire gli ultimi come ha dimostrato la tragedia del Piemonte, una ferita nazionale che
si rimarginerà con molta fatica.
Disponiamo di tre reti televisive pubbliche e di altrettante di proprietà del presidente del Consiglio,
eppure non le sappiamo sfruttare al servizio della comunità. In sé la tv non è colpevole né innocente
di nulla; è un mezzo, destinato a dipendere dai fini che le attribuiscono, in una società moderna dove
il conoscere fa la differenza.
Avere tv, radio e giornali a disposizione ma dover passare alla storia per un fax che vaga tre giorni
nei meandri di poteri e uffici annunciando inascoltato nubifragi e dissesti idrogeologici, è un’incuria
grave.