1994 Ma adesso torniamo a noi

1994 – Ma adesso torniamo a noi

Per carità, è sempre bello ospitare il vertice dei vertici della politica mondiale. Fa piacere per Napoli
e non sarebbe male che il G7 riflettesse sulla proposta di scegliersi una sede stabile a Venezia, che
grande per davvero lo è stata per alcuni secoli.
Però è già ora di congedare gli ospiti e di tornare molto alla svelta ai nostri guai.
E’ abbastanza infantile pretendere che Berlusconi risolva in cento giorni questioni trascinate o
degradate per decenni. Quando la Corte dei Conti viene a dirci ufficialmente che lo Stato, cioè i
contribuenti, hanno patito un danno erariale di 30 mila miliardi soltanto per un capitolo della
malasanità, non sappiamo se esser presi più dall’indignazione o dallo sconforto.
D’altra parte, questo è il menù dell’Italia 1994. Berlusconi lo conosceva quanto noi e ha chiesto il
più ampio consenso proprio per invertire la rotta. L’esitazione può essere perdonata ai pessimisti di
vecchio stampo, non a chi ha rivendicato l’ottimismo come carta segreta per governare.
Oltretutto, è bastata la pausa del G7 per dimostrare che, senza esserlo formalmente, Berlusconi si
vede costretto a lavorare come se guidasse una Repubblica presidenziale. Altro che “squadra” di
governo; o decide lui in prima persona o si blocca tutto.
Capita con la giustizia, con le misure economiche, con la legge elettorale, e l’elenco potrebbe
continuare. Di primo acchito sembrava che il suo problema fosse l’opposizione di sinistra; poi
Bossi. Adesso deve fare i conti con la sua stessa creatura, Forza Italia: lasciata sola più di 48 ore
perde qualsiasi cemento proprio perché cemento non ha se non nel leader.
Se ha fatto sorridere la “gioiosa macchina da guerra” di Occhetto, rischia di fare la stessa fine
questa allegra brigata di comari. Noi non ci scandalizziamo se uno straordinario passaggio politico e
culturale sta confusamente cercando un suo linguaggio. Il fatto è che proprio la legge del
pragmatismo e del buonsenso – invocati programmaticamente da Berlusconi – lo condannano al
fare.