1993 marzo 21 Canta Napoli

1993 marzo 21 – Canta Napoli

Illudendoci e sbagliando di grosso, un anno fa avevamo scritto: passerà alla storia, e meriterà la
gratitudine dell’Italia, il primo politico che avrà il coraggio di convocare una conferenza stampa, di
alzarsi in piedi e di autodenunciarsi con nomi, cifre e destinazioni d’uso, private o di partito. Lo
ritenevamo l’unico modo per restituire il minimo di decoro a un ceto bugiardo, che la magistratura
avrebbe in ogni caso sbugiardato.
A dire il vero, pensavamo al Nordest anche perché qui l’inchiesta su Bernini e De Michelis aveva
preceduto persino “Mani Pulite”. Non si mosse foglia. Anzi, il Nordest – Dal Veneto al Friuli – si è
distinto per l’omertà di fondo. Politici impermeabili; portaborse disposti a farsi dimenticare in galera
pur di proteggere a loro volta i protettori. E imprenditori veneti che soltanto adesso, forse, stanno
pensando di collaborare con il pubblico ministero Carlo Nordio dopo i suoi reiterati inviti.
Sarebbe interessante analizzare, dal punto di vista culturale, le ragioni di tanta reticenza a Nordest.
Resta il fatto che Milano, capitale nello scandalo, si è dimostrata ben presto capitale anche nel
ripristino della legalità, con frotte di testimoni pronti a liberarsi di un incubo.
Un ex magistrato della Corte dei Conti ha ipotizzato per il nostro Paese un giro di tangenti sull’ordine
dei trecentomila miliardi. La sola inchiesta Mani Pulite ne ha già accertati ottocento. L’enormità del
malaffare politico è tale da far saltare l’ultimo baluardo del sistema: la complicità.
Il caso di Napoli, città clamorosa e vitalissima, segnala il salto di qualità. Probabilmente, la saldatura
che mancava tra Nord e Sud: nel senso che anche a Napoli sta andando a pezzi la tenuta del potere,
quello strano mutuo soccorso in base al quale si ammette l’illegalità collegiale ma si evita di dare
nome e cognome a ladri, corrotti, cassieri e “collettori”. Non tiene neanche più la solidarietà di
corrente, notoriamente più granitica di quella di partito. A Napoli sta accadendo nel Psi per Di Donato
e nella Dc con Alfredo Vito.
104 mila voti di preferenza ottenuti senza spot televisivi e senza immagine, per puro clientelismo
porta a porta, l’on. Vito è la quintessenza del voto di scambio: se anche non configurasse il reato
penale, illumina certamente un costume. Che canti uno come Vito, che spiattelli tutto al giudice, che
tiri dentro gli amici annunciando il ritiro da una vita politica finita a schifio, produce conseguenze
non da poco proprio al Sud, ultima roccaforte democristiana.
Con Vito molla clamorosamente la Dc dei Gava e Pomicino. Mario Segni, da parte sua, è uscito allo
scoperto: “Dopo il referendum – ha promesso – non mi siederò mai più allo stesso tavolo di Gava,
Sbardella, Cirino Pomicino e Prandini”.
Con chi siederà Martinazzoli? Se si limiterà a gestire al meglio i resti di questa Dc, consegnerà il
Nord tutto alla Lega e il Sud mezzo al vuoto. Una Dc né vecchia né nuova, semplicemente da
commiato.