1993 aprile 25 Il dossier di Romiti fa tremare il Palazzo

1993 aprile 25 – Il dossier di Romiti fa tremare il Palazzo

Tangentopoli è giunta a una svolta cruciale. Sentenza politica definitiva, come se fosse passata in
giudicato; processi penali tutti da fare. La questione è tutt’altro che trascurabile se vogliamo abbinare
all’intransigenza sulla corruzione il rispetto che si deve a ciascun imputato. Dall’ultimo ladruncolo al
grande ladro di pubblico denaro.
Anche perché non si è mai visto al mondo, in un’inchiesta che riguarderà duemila persone, la
condanna di tutti gli inquisiti. Di sicuro, accanto a centinaia di colpevoli, ci sono alcuni innocenti. I
magistrati più avvertiti sanno meglio di noi che non esiste infallibilità.
Posizioni anche marginali hanno sui pesci piccoli un peso non da poco, che la lentezza della giustizia
aggrava ulteriormente. Uno dei paradossi italiani segnala oggi una situazione di questo tipo: le
inchieste più penetranti del mondo contro il malaffare politico-economico; il codice più garantista
d’Europa; tempi addirittura biblici per giungere a sentenza. Chiaro che le conseguenze sono sempre
negative, sia in garanzia che in efficienza.
I protagonisti di Tangentopoli pagano adesso gli stessi ritardi- dieci anni anche per una causa civile!
– con i quali da sempre deve fare i conti il cittadino comune quando incontra la “macchina” della
giustizia. Tutti invocano la velocità dei processi: pochissimi sanno in quali condizioni lavorano spesso
i magistrati.
Un pubblico ministero, ad esempio a Venezia, deve provvedere a circa 300 inchieste all’anno, a due
udienze alla settimana, alla copertura dei turni per qualsiasi fattaccio. Il bubbone di Tangentopoli è
esploso senza che le Procure abbiano pensato a specializzare in qualche modo i Pm; non soltanto non
fare più alla svelta ma, oltretutto, per calibrare con la maggior forza probatoria indagini molto
contorte. Che soltanto adesso – vedi l’opportuno ma molto tardivo appello di Romiti alla
collaborazione – possono finalmente contare su testimonianze di primissimo rango.
Questione di organici carenti e però, va detto, anche di organizzazione. A Milano il procuratore capo
Borrelli, vero pilastro di Mani Pulite, ha organizzato attorno a Di Pietro e Colombo il pool che si
occupa soltanto di tangenti, all’interno di una sezione destinata ai soli reati contro la pubblica
amministrazione.