1992 marzo 7 La culla di Bossi

1992 marzo 7 – La culla di Bossi

Negli Stati Uniti le chiamano primarie. Sono le elezioni interne ai due grandi partiti, repubblicano e
democratico, per scegliere i candidati alla Casa Bianca e al Congresso. Sia pure di tutt’altro genere
anche l’Italia avrà il 5 aprile le sue “primarie”.
Nel senso che, con tutta probabilità, non decideranno nulla; costituiranno soltanto la premessa della
ricostruzione di un nuovo tessuto politico. Un processo che andrà avanti anni, tra nuove elezioni,
referendum, riforme sia elettorali che istituzionali.
Si chiude sotto i nostri sguardi un periodo storico, anche se non tutti se ne sono resi conto
prendendo le contromisure. Gli apparati romani non hanno perso il vizietto d’imporre in periferia i
loro brocchi; persino i vescovi imperterriti nel patrocinare la Dc attraverso la forzatura dell’”unità
dei cattolici”, dimostrano qua e là nervosismo o addirittura indignazione di fronte a candidature
democristiane in odore di codice penale.
Un problema che infesta il Sud aggredito dalla società mafiosa e che non risparmia il resto d’Italia.
Nessuno può azzardare conclusioni ma, con quel che costa la campagna elettorale, sarebbe stato, ad
esempio, clamoroso se i 15 miliardi rastrellati da un manager socialista all’Ospizio di Milano non
fossero alla lunga serviti anche per aiutare qualche candidato…
Quando la politica e la gestione del denaro pubblico si confondono sistematicamente,
l’inquinamento è assicurato. Tra segretari particolari, portaborse, collaboratori, una certa casta
partitocratica tende a trasformarsi in ceto parassitario. Che spartisce posti di potere e prebende, in
combutta con funzionari infedeli allo Stato e imprenditori affamati di commesse pubbliche.
E’tutto un sistema che sta cadendo a pezzi, anche perché non regge più lo scenario politico. Di
colpo, sono in crisi sia il consenso che l’opposizione.
I partiti tradizionali, soprattutto quelli di governo, fanno bene a temere la protesta elettorale. Sarà
dura porvi rimedio nell’ultimo mese, in extremis, dopo aver snobbato qualsiasi riforma. E tuttavia
non hanno a disposizione altri strumenti che un nuovo linguaggio, impegni credibili, promesse
molto ravvicinate, curriculum politici o professionali decenti.
La speranza di mitigare protesta e disaffezione è ridotta al lumicino, non per colpa dei Bossi o dei
Rocchetta. I leader delle Leghe potrebbero anche andarsene tranquilli in vacanza alle Maldive fino
al 5 aprile; i loro veri propagandisti restano anche in questi giorni i partiti che non imparano nulla e
i vecchi arnesi lasciati in lista a indebolire l’effetto dei buoni samaritani che hanno accettato di
candidarsi per riformare il Paese.
La vicenda dell’obiezione di coscienza ha creato più sfascio di cento raduni del senatore Bossi a
Pontida. Il bello è che si tenta di gettare la croce addosso a Cossiga soltanto per aver il Capo dello
Stato esercitato un suo diritto Costituzionale, quando il Parlamento ha registrato in aula assenze
inusitate (quasi il 50% dei democristiani, oltre il 90% dei socialisti) e notificato la radicale
inversione di voto di almeno tre partiti in un mese.
“Può succedere di tutto”, ha insinuato Andreotti. Certo, perché in questi ultimi anni hanno fatto
succedere di tutto. Montecitorio è la culla di Bossi.